Il golpe militare che il 24 marzo di 40 anni fa portò al potere la dittatura militare in Argentina fu dovuto a cause che, sebbene abbiano come nucleo il tristemente famoso “Plan Condor” elaborato da Washington per contrastare la penetrazione del comunismo nel continente latinoamericano manovrata dall’ex Urss attraverso Cuba, presentano delle connotazioni particolari che fanno riferimento a una situazione di violenza estrema che il Paese affrontava dal ritorno in Patria del Generale Peron e il suo approdo alla Presidenza. Nonostante al giorno d’oggi molti affermino che la sua volontà fosse quella di pacificatore con un’apertura all’opposizione sconosciuta durante gli anni del suo primo caudillesco potere (1945-1955), che finì con un golpe denominato “Revolucion Libertadora”, fin dal suo arrivo, accolto da un milione di persone in una manifestazione che si trasformò in tragedia a causa di gruppi della destra peronista che spararono sulla folla provocando una strage (denominata il massacro di Ezeiza dal nome della località dove sorge l’aeroporto), si rese conto della spaccatura tra destra e sinistra del suo movimento. Da una parte l’ala di destra filogovernativa alle dipendenze dell’ex maggiordomo di famiglia Lopez Rega, uomo di fiducia della Loggia P2 di Licio Gelli, con grande influenza sulla seconda moglie di Peron, Isabelita. Dall’altra un gruppo denominato Montoneros, con origini in cui si mischiano gruppi cattolici di formazione gesuita, movimenti rivoluzionari come il Mnrt, e peronismo di base, che a causa della frequentazione con il Generale durante il suo esilio di Madrid pensavano che il suo ritorno coincidesse con la fondazione di una Patria socialista.



Ma il Generale era ormai nelle mani della destra che lo usava per il suo grande carisma: il 1 maggio del 1974, durante un discorso davanti a una plaza de Mayo gremita all’inverosimile, definì i movimenti della sinistra come stupidi, provocandone non solo il ritiro dalla manifestazione, ma anche la successiva decisione di passare alla clandestinità e dedicarsi alla lotta armata. Campo dove fin dal 1969 già operava un’altra organizzazione denominata Erp (Ejercito revolucionario del Pueblo) a cui Montoneros si sommarono con un’organizzazione militare creando un esercito (con tanto di cappellani militari) e mettendo il Paese nel caos, ai bordi di una guerra civile. Si calcola che nel decennio 1969-79 in Argentina vennero compiuti 21.000 attentati ed esplosero 4.380 bombe che causarono la morte di 1.100 civili.



L’assassinio del sindacalista amico di Peron Juan Josè Rucci nel 1973 acuì la svolta a destra con l’entrata in azione delle sinistre squadre della triple A, che iniziarono a sequestrare persone, ma dopo la morte del Generale il 1 luglio del 1974, a cui successe la moglie Isabelita (di scarse capacità politiche e manovrata da Lopez Rega), la situazione precipitò con l’attacco dei Montoneros all’aeroporto di Formosa, una spettacolare operazione militare denominata “Operacion Primicia” avvenuta il 5 ottobre del 1975, seguita da altre dello stesso genere che portarono al golpe che il 24 marzo del 1976 vide al potere il Generale Jorge Rafael Videla, a cui seguirono nel marzo del 1981 il Generale Roberto Viola e dal dicembre dello stesso anno il Generale Leopoldo Galtieri.



Si decise un processo di “Riorganizzazione nazionale” che si mise in atto con l’abolizione della Costituzione e la decisione di procedere alla lotta contro il terrorismo e l’eliminazione sistematica di tutto ciò che poteva considerarsi sovversivo o comunista (con una visione del termine piuttosto confusa), includendo quella fisica da attuarsi mediante la sparizione di persone. Senza processo alcuno, dato che si voleva evitare l’ingerenza che il Papa aveva avuto sul regime franchista spagnolo sulla questione delle esecuzioni di terroristi dell’Eta.

Un genocidio programmato, che incluse centri di detenzione dove si praticavano torture disumane ed eliminazioni anche utilizzando voli sul Rio della Plata dai quali si lanciavano persone narcotizzate. Operazioni compiute le quali i responsabili si ritiravano nelle loro case come buoni padri di famiglia, spesso benedetti da preti dopo le loro azioni, quasi si trattasse di una missione divina. C’è da dire che la Chiesa cattolica si divise tra un appoggio al regime, una lotta allo stesso spesso alleata con Montoneros e posizioni più diplomatiche (quali quella dell’allora cardinale Bergoglio) che permisero di salvare molte vite umane da morte sicura.

La diffusione di notizie su questa tragedia fatta da organizzazioni dei diritti umani (in particolar modo le Madri di plaza de Mayo), giornalisti dotati di un coraggio encomiabile (tra i quali l’italiano Italo Moretti che rischiò la vita per realizzare documentari trasmessi dalla Rai) e una frattura interna tra i poteri militari provocarono una pressione tale che, dopo la disastrosa occupazione delle Isole Malvinas/Falkland a cui seguì una guerra con il Regno Unito che si risolse in una sconfitta, accelerarono il processo di dissoluzione della dittatura che dovette indire elezioni democratiche che furono vinte il 10 dicembre del 1983 dal radicale Raul Alfonsin, primo presidente della ritrovata democrazia. Che assunse quasi immediatamente la decisione di istituire una commissione per giudicare i crimini della dittatura denominata Conadep, che si risolse nel celeberrimo processo contro la giunta militare passato alla storia con la storica frase “Nunca Mas” pronunciata dal magistrato Julio Cesar Strassera.

Il ritorno alla democrazia venne messo a dura prova non solo dall’assalto a una caserma militare della Tablada fatto dal Mtp (Movimeno Todos por la Patria) fondato dall’ex Erp Gorranian Merlo, ma anche da pressioni fatte dalle Forze Armate che culminarono nella “Semana Santa” del 1987 dove si instaurò una ribellione di queste ultime, non soddisfatte della promulgazione di due decreti chiamati “Punto Final” e “Obediencia Debida”, che in pratica interruppero le sanzioni contro i militari, poi indultati dal successore di Alfonsin, Carlos Menem (che incluse nella manovra pure i reati commessi dal terrorismo). 

Nel 2003 sotto la Presidenza di Nestor Kirchner i decreti di Alfonsin e la successiva amnistia vennero annullati e le condanne ai soli militari confermate. Parte delle organizzazioni di diritti umani che avevano combattuto la dittatura soffrirono fratture interne che le divisero (in special modo le madri di Plaza de Mayo) e alcune furono cooptate dai Governi kirchneristi (e coinvolte in scandali di corruzione o falso), che oltretutto misero in atto un processo di revisione storica, funzionale alla loro immagine di paladini dei diritti umani, dove la lotta armata degli anni Settanta venne spacciata come messa in atto da una “Gioventù meravigliosa” per la giustizia. Venne così propagandata la teoria della “guerra buona” contro quella “cattiva” che traspare specialmente dalla riscrittura della prefazione dello storico libro “Nunca Mas” di Ernesto Sabato.

Questo processo ha aperto una ferita su di un periodo tanto nefasto per il Paese, che ha portato una figura storica nella lotta per i diritti umani, la senatrice Norma Morandini, a dichiararci: «Sono stata sempre, sia nel mio ruolo di giornalista che di legislatrice, una oppositrice onesta, contro l’utilizzo a fini politici dei diritti umani. Ho seguito il processo del Nunca Mas e ho partecipato attivamente alla ricostruzione di quel rompicapo macabro nel quale ho perso un fratello e una sorella». «Nel 2001 ho scritto un libro che si intitola “Dalla colpa al perdono” dove mi sono chiesta che cosa fare con il passato. Parlo molto della riconciliazione, ma non di quella con i repressori, se non con noi stessi. Gli anni della dittatura per me non hanno significato la lotta tra demoni (militari e gruppi terroristici). Per me il demone era uno solo, la violenza, e non ho mai distinto tra morti buoni e cattivi, fatto che mi ha attirato le critiche di parte delle organizzazioni per i diritti umani».

La cosa che lascia interdetti in questo processo è difatti la differenza di trattamento non solo degli omicidi commessi dai militari con quelli del terrorismo, ma anche la sostanziale indifferenza nei riguardi delle vittime quasi che si giustifichi l’uccisione di un essere umano per scopi che tuttora non risultano assolutamente chiari, dato che i proclami e le azioni dei guerriglieri dipingevano un quadro molto simile, intellettualmente, a quanto poi realizzarono in Cambogia sotto il regime di Pol Pot.

Ricardo Lais, ex guerrigliero Montonero rifugiatosi in Brasile, ha iniziato anni fa a pubblicare libri che, uniti a una pellicola intitolata “Il dialogo” (un incontro con Graciela Fernandez Mejilde, ex Ministro, madre di un desaparecido e attivista dei diritti umani) traccia un percorso, poi seguito da tanti altri suoi ex compagni, di assunzione di responsabilità nella tragedia che ha portato alla sparizione di migliaia di “desaparecidos”. Ma di quell’epoca emergono particolari sempre più inquietanti, tra i quali una relazione tra militari e terroristi fatta di accordi per l’eliminazione di personaggi scomodi e addirittura una rapporto tra uno dei repressori più sanguinari, il Generale della Marina Emilio Massera, e parte di Montoneros per la creazione di un partito capeggiato da Massera, che si voleva candidare alla Presidenza in un’ormai inevitabile transazione democratica.

Quest’ultima situazione, sviluppatasi nell’Ambasciata argentina di Parigi all’epoca, venne denunciata da una coraggiosissima diplomatica, Helena Holmberg che però, richiamata a Buenos Aires per istruzioni, sparì poco tempo prima di incontrare dei corrispondenti stranieri per una denuncia alla stampa. Il suo cadavere venne trovato alla foce di un fiume un mese dopo e la sua morte provocò una frattura insanabile, la prima, nel regime militare. Ma a questa eroe desaparecida non si è avuto il coraggio di dedicare nemmeno una via al ricordo.

Sono trascorsi 40 anni, ma come si vede in Argentina la ferita su quel periodo è ancora aperta: si intravede però una luce che è costituita da una dichiarazione del Presidente Obama che, alla vigilia della sua visita nel Paese, ha promesso l’apertura degli archivi segreti statunitensi su quel triste periodo. La speranza è che ciò serva alla ricerca di una verità storica che possa chiudere questa ferita: che non significa dimenticare, ma aiutare la società argentina a progredire in un dialogo aperto nella ricerca di una verità che possa davvero ricollegarsi allo storico “Nunca mas!” pronunciato nel 1985.