La polizia del Belgio ha compiuto tre arresti nel corso di raid anti-terrorismo nella capitale Bruxelles. Nel quartiere di Schaerbeek un uomo è stato ferito alle gambe e quindi fermato. Secondo quanto ha reso noto Rtl, si tratterebbe di un “pesce grosso”. Giovedì nella periferia nord di Parigi era stato arrestato Reda Kriket, un uomo con cittadinanza francese sospettato di stare preparando un attentato. L’operazione di Parigi e quella di Schaerbeek sarebbero legate tra loro. Il presidente francese François Hollande ha reso noto che la cellula jihadista che ha colpito a Bruxelles e Parigi sta per essere “annientata”, anche se “ci sono altre cellule”. Ne abbiamo parlato con il generale Mario Mori, fondatore ed ex comandante dei Ros ed ex direttore del Sisde.



Generale, in quale direzione ci stanno portando i nuovi blitz della polizia in Francia e in Belgio?

Finora sono mancate delle linee strategiche ben precise. Ciascuna polizia e ciascun servizio di intelligence si regola secondo le sue metodologie. Nel caso del Belgio i risultati non sono stati particolarmente brillanti.



Lei si aspetta che emergano delle nuove scoperte?

Penso di no. Il problema è che finora la lotta al terrorismo islamista non ha avuto delle linee precise perché non ha trovato un sostegno nell’opinione pubblica europea. Si è sempre cercato di dare poco risalto a queste attività, e soprattutto a livello di comunità europea non ci sono state delle scelte precise per venire a capo di un fenomeno che ormai ha dimensioni che superano i singoli Stati.

Come bisognerebbe rispondere alla minaccia terroristica?

Per rispondere a quello che si configura come un vero e proprio attacco al nostro modo di concepire la vita bisognerebbe creare una legislazione e degli organi di giustizia comuni a livello europeo. Su queste basi si potrebbero coordinare efficacemente le forze di polizia e di intelligence. Anche se il coordinamento dell’intelligence è sempre una cosa molto aleatoria, in quanto nessuno Stato è disposto a cedere la gestione dei suoi servizi segreti a un organo sovranazionale.



Pur non avendo le banlieues, l’Italia presenta a sua volta un rischio di attentati?

Nessuno è esente da questo rischio. E’ evidente che è in corso un attacco al modo di concepire la vita del mondo occidentale, e quindi qualsiasi Paese può finire nel mirino. Rispetto a Belgio e Francia però l’Italia è in una situazione nettamente migliore. Noi non abbiamo musulmani di terza o quarta generazione, né concentrazioni così clamorose come quelle che esistono in Francia e in Belgio. Molenbeek conta 40mila abitanti (di cui la metà provenienti dal Marocco, ndr). Questo nel nostro Paese ancora non esiste, perché gli arabi con cittadinanza italiana sono pochissimi.

Gli attentati sono una risposta ai raid occidentali in Siria?

Non direi che ci sia un legame particolarmente stretto. Con questi attentati l’Isis crea dei diversivi, ma soprattutto fa opera di reclamizzazione della propria azione verso i suoi aspiranti adepti, cioè verso il popolo della “Ummah” (la comunità islamica, ndr). Il fatto che poi si colpiscano gli occidentali diventa uno strumento, ma il fine ultimo è creare le condizioni per la costituzione di un califfato che sia realmente consistente. L’attacco all’Europa è uno strumento di propaganda e di reclamizzazione del “prodotto”.

 

Quindi l’Isis intensifica gli attentati perché c’è una diminuzione nel reclutamento dei foreign fighter?

Non direi, per il network terrorista trovare adepti e volontari non è un problema. Quattro personaggi disposti al sacrificio per motivi religiosi si trovano sempre. Per noi occidentali è inconcepibile, ma non lo è per il fedele musulmano.

 

Secondo lei i terroristi in Belgio hanno dimostrato una capacità organizzativa avanzata?

Questa è un’altra leggenda che va sfatata. Io ho vissuto il periodo delle Brigate rosse, e dopo ogni attentato si parlava di “geometrica potenza” dei loro nuclei. Nella realtà erano quattro ragazzotti, e quando lo Stato ha deciso di affrontarli seriamente sono stati spazzati via. Anche nei confronti degli islamisti, molto dipende da quello che vogliamo fare con questa gente. Se le potenze occidentali si impegnano, l’Isis scompare in quattro o cinque mesi.

 

(Pietro Vernizzi)