Prima dell’ormai noto referendum sulla permanenza nell’Unione Europea del Regno Unito, previsto per il 23 giugno, si terrà in Olanda il prossimo 6 aprile un meno conosciuto referendum sul trattato di associazione dell’Ucraina alla Ue. Il trattato è già stato ratificato dal Parlamento olandese e questo è il primo caso di applicazione della legge che consente di indire referendum consultivi anche su trattati internazionali già ratificati, se richiesto da almeno 300mila cittadini: per il referendum sull’Ucraina sono state raccolte 450mila firme.
L’esito del referendum non ha valore vincolante, ma un possibile voto negativo porrebbe comunque problemi al governo. Forse per evitare un simile risultato, la campagna referendaria è partita piuttosto sottotono, con molti olandesi ignari e non ben consapevoli del quesito posto. Il quorum perché il referendum sia valido non è elevato, il 30%, ed è probabile che venga superato; e ora la campagna si sta concentrando sui suoi reali motivi. I sostenitori del trattato accusano gli avversari di condurre la loro campagna non sui contenuti reali dell’accordo, ma sulla Unione Europea in quanto tale.
In effetti, per i promotori del referendum, l’Ucraina sembrerebbe essere uno spunto per mettere in discussione le politiche di allargamento dell’Unione, se non l’Unione stessa.
I sostenitori dell’accordo mettono in risalto, oltre la solidarietà con gli ucraini e il loro desiderio di essere parte integrante dell’Europa, la necessità di aiutare la loro malandata economia e i benefici che dal trattato di libero scambio deriverebbero anche alle imprese olandesi. Dall’altra parte, si oppone il limitato effetto che l’accordo avrebbe per entrambe le parti e si sottolinea invece il carico ulteriore sui contribuenti europei derivanti dagli aiuti finanziari che saranno dati all’Ucraina.
Un fattore che incide negativamente è la situazione politica interna ucraina, con un governo in piena crisi. il premier Yatsenyuk in dissidio con il presidente Poroshenko, il potere degli oligarchi pressoché intatto e la corruzione che continua a dilagare. Il fatto che gli aiuti saranno condizionati a una cospicua serie di riforme (si parla di 300 disposizioni Ue che dovranno essere adottate dall’Ucraina) non sembra riscuotere molta credibilità e gli ultimi sondaggi danno per tutt’altro che certa la vittoria dei Sì.
Il referendum si sta quindi configurando sempre più come una consultazione su un’Unione Europea sentita lontana dai cittadini perfino nell’europeista Olanda, al di là del caso concreto dell’Ucraina. Come riportato in un articolo della Bbc News, uno dei leader della campagna per il No ha dichiarato: “E’ un’occasione importante per dire che ci siamo anche noi, la cosa più importante alla fine è di dare la possibilità agli olandesi di votare sulla continua espansione e aumento dei poteri dell’Unione Europea”.
Questo atteggiamento di fondo ha trasformato in un assist agli oppositori del trattato il recente intervento di Herman van Rompuy, già presidente del Consiglio d’Europa, che descriveva i gravi danni per l’Olanda e l’Europa derivanti dalla vittoria dei No.
Per converso, gli avversari del trattato hanno avuto l’ovvio appoggio dell’Ukip, il partito indipendentista inglese, il cui leader Nigel Farage ha promesso di andare in Olanda per sostenere il No, la cui vittoria sarebbe di grande aiuto, ha affermato, anche per il prossimo referendum inglese.
I referendum olandese e quello sul Brexit non sono gli unici che si prospettano per l’Unione Europea. Lo scorso febbraio, il primo ministro ungherese, Viktor Orban, ha comunicato l’intenzione del suo governo di indire un referendum contro la decisione dell’Ue che obbliga gli Stati membri ad accettare una quota predefinita di rifugiati. L’attuale governo ungherese è noto per essere spesso critico nei confronti di Bruxelles e non stupisce più di tanto questa sua ultima iniziativa, mentre più sorprendente è quanto accade in Finlandia, il cui governo, di centrodestra, è decisamente filo Ue. Qui, più di 50mila cittadini hanno firmato una petizione perché la Finlandia esca dall’euro e, per la legislazione finlandese, ciò costringe a un dibattito sulla questione in parlamento. I sondaggi danno attorno al 30% i finlandesi in favore di un’uscita dall’euro, una minoranza in forte crescita rispetto al passato. La situazione economica del Paese si è deteriorata fortemente e il confronto con la vicina Svezia, rimasta fuori dall’euro, porta sempre più cittadini a riconsiderare la permanenza nell’Eurozona.