La Libia può diventare il Vietnam del governo di Matteo Renzi? Il processo politico tarda a sbloccarsi. Sebbene il 15 febbraio sia stata presentata da al Serraj la lista dei ministri del governo di unità nazionale libico — che, rispetto alla precedente, è più snella, prevede 18 elementi (13 “ministri” e cinque “ministri di Stato”) e nessun cambiamento per i dicasteri della Difesa e dell’Interno, un nome nuovo per gli Esteri, Taher Sayala — di fronte alla difficoltà di ottenere una pronuncia favorevole del Parlamento di Tobruk, emerge la proposta italiana, ora all’esame dell’Onu dal 2 marzo, di dare rilievo alle 101 firme dei parlamentari di Tobruk senza passare per un voto formale dello stesso Parlamento.



Mentre gli alleati confermano sul piano diplomatico un ruolo di leadership per l’Italia nella futura missione Liam (Libyan international assistance mission), alcune fughe di notizie statunitensi sembrano indicare il desiderio di Washington di coinvolgere l’Italia in un ruolo maggiormente attivo nella guerra all’Isis — ruolo che il governo Renzi ha finora respinto, rifiutando di armare i quattro Tornado schierati in Iraq. 



Così, il 24 febbraio il Wall Street Journal ha riferito che il governo italiano ha autorizzato gli Stati Uniti ad impiegare i velivoli teleguidati Reaper dislocati nella base di Sigonella nei raid in Libia, ma solo per effettuare “missioni difensive”. Come riportato dalla stampa italiana, il presidente del Consiglio Renzi ha chiarito che le autorizzazioni per l’utilizzo della base di Sigonella per la partenza dei droni anti-terrorismo avverranno “caso per caso”, precisando che “la priorità è la risposta diplomatica ma se abbiamo prove evidenti che si stanno preparando attentati l’Italia fa la sua parte”. Dopo l’articolo del Wall Street Journal, il ministero della Difesa italiano ha confermato la notizia dell’accordo, sottolineando però che “l’attività non è comunque ancora iniziata e dovrà essere sottoposta, di volta in volta, all’autorizzazione del governo italiano che darà luce verde solo a missioni a scopo difensivo”.



Da segnalare l’opinione del gen. Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa, affidata alle pagine del Corriere della Sera il 24 febbraio, che ritiene che “sul piano strategico non vale la pena di inseguire il miraggio di un governo unitario… meglio lasciar perdere… La soluzione migliore per la Libia sarebbe la divisione in tre parti: la Cirenaica, la Tripolitania e la zona meridionale dove le tribù sono armate le une contro le altre”. Tesi esplicitata ulteriormente nella stessa data su Affari internazionali on line: “Mi piacerebbe però che l’attuale situazione di apparente stallo inducesse a una riflessione di più ampio respiro: davvero ci conviene puntare a una rappresentanza politica unitaria della Libia, che in ogni caso sarebbe afflitta da fragilità endemiche o non è forse il caso di esaminare l’opportunità di prendere atto che le diverse anime di quel vastissimo territorio possono ambire a forme statuali più articolate, ad esempio con un ritorno alle divisioni storiche di Cirenaica e Tripolitania (ed eventualmente Fezzan)?”. 

Secondo il Wall Street Journal l’amministrazione Obama sta tentando di persuadere il governo italiano ad autorizzare l’uso dei droni anche in operazioni offensive, come quella condotta dagli Stati Uniti il 19 febbraio contro il campo dell’Isis a Sabrata (Tripolitania occidentale) in cui sono morti una quarantina di miliziani incluso Noureddine Chouchane, responsabile degli attentati dell’anno scorso in Tunisia, al museo del Bardo di Tunisi e sulla spiaggia di Sousse. L’incursione è stata effettuata da cacciabombardieri F-15E decollati da Lakeneath, in Gran Bretagna, perché Roma ha rifiutato al Pentagono l’autorizzazione a impiegare i droni armati Reaper basati a Sigonella insieme ai ricognitori strategici teleguidati Global Hawk. Secondo quanto riferisce il giornale statunitense, le riserve del governo Renzi ad autorizzare l’impiego su vasta scala dei droni statunitensi sono legate al timore di scatenare l’opposizione interna, specialmente in caso di vittime civili. Il Sole 24 Ore fa notare che è “Difficile però, in termini tecnico-operativi e non politici, distinguere tra missioni difensive e offensive. Ad esempio, un intervento armato dei droni a difesa di forze speciali americane o alleate schierate in Libia potrebbe venire considerato difensivo ma già la presenza di truppe e mezzi militari in un Paese straniero costituisce di fatto un’azione offensiva”.

Il Sole 24 Ore fa notare anche che per la seconda volta in pochi mesi gli Stati Uniti anticipano informazioni legate al ruolo dell’Italia contro l’Isis che Roma evidentemente non avrebbe voluto pubblicizzare o avrebbe preferito annunciare successivamente. Nel dicembre scorso Barack Obama riferì pubblicamente della missione delle truppe italiane in Iraq a difesa della diga di Mosul di cui aveva parlato con Renzi ma che non era stata definita e ufficializzata. Stessa tecnica utilizzata quando fonti dell’amministrazione hanno riferito al WSJ del parziale via libera di Roma all’impiego dei droni basati a Sigonella sulla Libia.

Il 25 febbraio 2016 il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal presidente della Repubblica Matterella, “ha attentamente valutato la situazione in Libia, con riferimento sia al travagliato percorso di formazione del Governo di Accordo Nazionale sia alle predisposizioni per una eventuale missione militare di supporto su richiesta delle autorità libiche”, come risulta dal comunicato diffuso dal Quirinale.

Ancora il Wall Street Journal ha rivelato il 29 febbraio la notizia dell’asserita creazione a Roma di un centro di coordinamento delle operazioni speciali allestito dai militari degli Stati Uniti e alleati. Mentre statunitensi, britannici e francesi hanno già inviato forze speciali sul terreno e stanno già conducendo operazioni in Libia che rispondono ai rispettivi interessi nazionali, “l’attribuzione all’Italia del comando di una missione di supporto e addestramento delle forze libiche avrebbe un peso marginale rispetto alle operazioni belliche messe a segno da francesi, britannici e statunitensi”.

Sembra però che l’Italia non resti del tutto tagliata fuori dalle operazioni sul terreno, in quanto, con DPCM del 10 febbraio 2016 — secretato, ma in parte reso noto dalla stampa nazionale in data 3 marzo 2016 — è stato disciplinato il rapporto tra Aise e Forze speciali della Difesa, prevedendo — a quanto riferito dalla stampa — che il presidente del Consiglio, avvalendosi del Dis, possa autorizzare l’Aise ad adottare misure di contrasto e di intelligence anche con la collaborazione tecnica ed operativa delle Forze speciali della Difesa, alle quali si estendono le garanzie funzionali di cui godono gli agenti dell’Aise — come già previsto dall’art. 7-bis, comma 3, dell’ultimo decreto missioni.

Tale ultima disposizione — richiamando quanto previsto dalla legge 124/2007, articolo 17, comma 7 — in particolare prevede che quando, per particolari condizioni di fatto e per eccezionali necessità, le attività d’intelligence sono state svolte da persone non addette ai servizi di informazione per la sicurezza, in concorso con uno o più dipendenti dei servizi di informazione per la sicurezza, e risulta che il ricorso alla loro opera da parte dei servizi di informazione per la sicurezza era indispensabile ed era stato autorizzato secondo le procedure previste dall’art. 18 della medesima legge, tali persone sono equiparate, ai fini dell’applicazione della speciale causa di giustificazione, al personale dei servizi di informazione per la sicurezza.

Secondo quanto riportato dal Corriere, delle missioni di unità speciali a fini di intelligence eventualmente disposte dal presidente del Consiglio, il Parlamento verrà informato con atti scritti e secretati, tramite il Copasir.

A seguito del citato DPCM, sarebbero state inviate tre squadre di circa 12-13 unità di personale dell’Aise ciascuna (circa 40 unità) a cui si aggiungerebbero nelle prossime ore 50 unità dei paracadutisti del Reggimento Col Moschin.

Frattanto il 3 marzo, relativamente alla diffusione di alcune immagini di vittime di sparatoria nella regione di Sabrata in Libia, apparentemente riconducibili a occidentali, la Farnesina ha informato che “da tali immagini e tuttora in assenza della disponibilità dei corpi, potrebbe trattarsi di due dei quattro italiani, dipendenti della società di costruzioni Bonatti, rapiti nel luglio 2015 e precisamente di Fausto Piano e Salvatore Failla”. Nella stessa data, il Copasir “alla luce di quanto avvenuto in Libia a due ostaggi italiani”, ha convocato con urgenza l’Autorità delegata, senatore Marco Minniti.

Da lunedì il governo Renzi sarà obbligato a confrontarsi col Parlamento. Berlusconi ha già dichiarato che in Libia non si deve bombardare. Ancora più netto è stato Prodi. Matteo sa che deve fare una guerra senza darlo a vedere. Dicono che sia un giocatore delle tre carte. Forse è il momento di dimostrarlo.