“Tutti i libici si sentono parte di un’unica nazione. L’insediamento di Fayez Serraj è stato ostacolato soprattutto dal fatto che tutte le varie fazioni vorrebbero decidere chi sarà il nuovo ministro della Difesa. Parlare però di un clima da guerra civile nella capitale Tripoli è del tutto lontano dalla realtà”. Ad affermarlo è Ibrahim Magdud, professore di lingua e letteratura araba nell’Università libica d’Italia, contattato mentre si trova a Tripoli. Mercoledì il consiglio presidenziale libico guidato da Serraj si è insediato nella capitale accompagnato da forze navali libiche. L’arrivo da Tunisi in aereo era stato impedito per l’opposizione di Khalifa Ghwell, leader del governo di Tripoli non riconosciuto dalla comunità internazionale. I media italiani hanno parlato di scontri a fuoco e di una capitale sull’orlo della guerra civile.



Serraj è arrivato finalmente a Tripoli. Che cosa succederà adesso?

Oggi (ieri, ndr) la situazione nel Paese era del tutto tranquilla, e martedì il Parlamento si riunirà per votare la fiducia al governo.

Che cosa farà il governo non riconosciuto di Khalifa Ghweil?

Niente, sta facendo soltanto delle dichiarazioni, ma in ogni caso ha affermato che se ci sarà la fiducia del Parlamento non ci saranno problemi.



Serraj riuscirà a ottenere la fiducia?

Sulla base di quello che si sente dire qui a Tripoli direi di sì. Prima però va risolto un problema procedurale…

Quale?

Dal punto di vista della legittimità istituzionale, l’intera operazione dell’insediamento di Serraj si basa su una dichiarazione costituzionale. Il problema è che c’è un contrasto tra quest’ultima e l’articolo 8 dell’accordo di Skhirat, in Marocco, tra le diverse fazioni libiche. Prima quindi è necessario modificare l’articolo 8 dell’accordo e poi si voterà la fiducia al governo.

Una volta modificato l’articolo 8, quali altri ostacoli potrebbe incontrare Serraj?



Una delle questioni più spinose è a chi affidare l’incarico come ministro della Difesa.

Perché non può essere il generale Haftar?

Perché nell’accordo di Skhirat si parla della creazione di un consiglio militare o di affidare il ministero della Difesa a Serraj stesso o a un altro membro del consiglio di presidenza. Soltanto dopo tre mesi di interim potrà essere nominato il nuovo ministro della Difesa.

I media italiani hanno parlato di scontri ed esplosioni avvenuti a Tripoli. Lei conferma?

No, c’è stata qualche scaramuccia durata circa un’ora su iniziativa di un gruppetto molto sparuto. Ma assolutamente non c’è stato nulla di più. Io sono qui a Tripoli e posso testimoniare che non ci sono stati veri e propri scontri.

Per l’ex ad di Eni, Paolo Scaroni, l’Italia deve puntare tutto sulla Tripolitania e rinunciare all’idea di una Libia unita. E’ così?

Francamente è un’affermazione che mi risulta del tutto incomprensibile.

 

Ormai in Libia ci dobbiamo rassegnare a due entità statali indipendenti, Tripoli e Tobruk?

No, questo assolutamente non è conforme né alla realtà dei fatti né alla volontà dei libici tanto della Cirenaica quanto della Tripolitania. Qui tutti parlano ancora dell’unità della Libia, e non di una sua spartizione in due parti. L’obiettivo è quello di insediare il governo a Tripoli e il parlamento a Tobruk, in modo da unire l’Est e l’Ovest del Paese. Se tutte le parti sono d’accordo su questa soluzione, non ci sarà la necessità né di dividere la Libia né di introdurre forme di federalismo.

 

Che cosa dovrebbe fare il governo italiano?

Il governo italiano deve continuare a sostenere il consiglio presidenziale di Serraj. Deve inoltre appoggiare la richiesta della Libia nelle sedi Onu per quanto riguarda l’abolizione dell’embargo sulle armi. L’aiuto dell’Italia può essere prezioso anche su altri fronti come quello umanitario e diplomatico, nonché rispetto alla formazione di istituzioni democratiche.

 

E sul piano militare?

E’ meglio che l’Italia non intervenga. Un conto è la fornitura di consiglieri militari e di armi all’esercito libico. Ma tanto la situazione attuale quanto la memoria storica del passato coloniale dell’Italia fanno sì che un suo intervento militare non gioverebbe sicuramente a pacificare il Paese.

 

(Pietro Vernizzi)