Caro direttore,
l’Artsakh, come lo chiamano da sempre gli armeni, o Nagorno Karabakh (Karabakh montuoso come venne chiamato a partire dal XIV secolo), 11.458 chilometri quadrati 150mila abitanti, 99 per cento armeni) è un’enclave appartenuta all’Armenia sin dall’antichità. Qui nel V secolo nel monastero di Amaras nacque la prima università armena per opera di S. Mesrop Mashtotz, inventore dell’alfabeto armeno. Il volto di quelle terre parla armeno: i nomi, la presenza degli khatchkar, delle chiese e monasteri che gli armeni hanno costruito, finché non verranno rasi al suolo, come il cimitero centenario di Djulfa (nell’attuale Azerbaijan).



L’Azerbaijan è uno stato definibile come zona di confine per eccellenza, con un’identità nazionale storicamente in evoluzione essendo turca, iraniana, sunnita e sciita, musulmana e cristiana, russa e mediorientale, europea ed asiatica. Stato cristiano dal IV al VII secolo, dal VII secolo l’Azerbaijan subisce una progressiva islamizzazione e turchizzazione. Azerbaijan, Armenia e Georgia diventano parte dell’Urss dal 1922 fino al suo scioglimento nel 1991. L’interesse attuale per l’Azerbaijan deriva dal suo spettacolare ritorno sulle scene mondiali come paese esportatore di petrolio e come avversario degli armeni.



L’origine delle pretese territoriali dell’Azerbaijan e dei guai per gli armeni sono le concessioni fatte nel 1923 del secolo scorso dall’allora Unione Sovietica alla Turchia di Kemal Ataturk. Nel 1923 l’Artsakh, insieme al Nakhitchevan, altra enclave armena, venne assegnato da Stalin all’Azerbaijan. Gli armeni dell’Artsakh subirono in questo periodo una politica basata essenzialmente sulla violenza, alla quale riuscirono a sottrarsi — non è questa la sede per chiarire questo punto, che potrebbe costituire di per sé il tema di un altro articolo — in modo democratico e legale. Nel 1991, quando la Repubblica sovietica dell’Azerbaijan decise di uscire dall’Unione Sovietica, gli armeni del Nagorno Karabakh ne approfittarono per stabilire la propria indipendenza. La decisione viene presa in forza della legge del 3 aprile 1990 dell’Unione Sovietica (“Norme riguardanti la secessione di una repubblica dall’Urss”) che consentiva alle regioni autonome di distaccarsi da una repubblica qualora questa avesse lasciato l’Urss. Il 6 gennaio 1992, dopo la nascita del nuovo stato nel 1991, poi confermato da un referendum e successive elezioni politiche monitorate a livello internazionale, veniva proclamata la Repubblica del Nagorno-Karabakh. Nello stesso mese l’Azerbaijan attaccava militarmente il Karabakh ma nonostante più uomini e mezzi a disposizione gli azeri furono sconfitti e nel maggio 1994 venne firmato un accordo di cessate-il-fuoco.



Purtroppo, nonostante tale accordo e il difficile lavoro di negoziazione internazionale durato 22 anni, dopo ripetute violazioni, uccisioni di soldati armeni al confine e tentativi di penetrazione in territorio armeno, l’Azerbaijan il 5 aprile scorso ha ripreso le ostilità contro il Karabakh. 

 

La situazione non fa sperare bene, con i turchi alleati dell’Azerbaijan che promettono di andare fino in fondo alla questione, e i russi che, pur avendo un accordo di difesa con gli armeni in caso di guerra, hanno dichiarato che continueranno a vendere le loro armi al ricco Azerbaijan. Negli ultimi anni inoltre, forti della vendita del petrolio, gli azeri hanno aumentato enormemente la spesa militare e diplomatica. Anche il Parlamento europeo a gennaio si è schierato contro l’Armenia, come peraltro molti parlamentari di vari paesi e buona parte della stampa internazionale. In molti sempre più a favore del ricco Azerbaijan, stato totalitario governato dalla famiglia Aliyev, al 160esimo posto su 180 per la libertà di stampa (78esimo l’Armenia, 73esimo l’Italia) e invece indifferenti o addirittura contro l’Armenia.

Ma una domanda nasce spontanea. Se gli albanesi del Kosovo, dell’Ossezia e dell’Abkhazia hanno il diritto alla autodeterminazione, perché gli armeni del Karabakh no? Il Karabakh rischierà di passare all’Azerbaijan e di finire come il Nakhichevan, dove la popolazione armena, pur avendo l’autonomia, è scesa dal 60 per cento nel 1923 allo 0 per cento attuale?

“Che Dio sia con i nostri soldati!”, questa è la preghiera che tutti fanno propria in questi giorni nel Karabakh. Da quando l’Azerbaijan ha attaccato la frontiera col Karabakh, in centinaia accorrono ad arruolarsi per difendere quel povero pezzo di terra. 

Ma la questione tra Armenia e Azerbaijan non è solo geopolitica. E’ una questione di difesa della verità e della civiltà. Da una parte chi vuole difendere la propria terra, dove ha costruito chiese, monasteri, ospedali e una civiltà cristiana ricchissima. Dall’altra chi quella terra la odia perché cristiana e la pretende, con l’aiuto dei soliti lupi grigi, falsificando la storia e la geografia e approfittando della tiepidezza dei nostri amici.

Zhirajr Mokini Poturljan