Con l’Ue non ci sono più problemi politici, economici e sociali. Neanche l’immigrazione è più realmente un problema o un rompicapo. Perché domina, sovrana, non la Commissione guidata da Juncker, ma la realtà. La realtà, dunque, si impone, e la distorsione della realtà, come il diavolo, scimmia di Dio, si contrappone con tutto il suo vigore. La distorsione della realtà non è codificata nei manuali di governance dell’Ue, ma esiste in quelli della terapia cognitivo-comportamentale.



Apro un manuale di gran successo, scritto dal Prof. David Burns, Feeling Good. Nel terzo capitolo, Burns affronta il tema delle “distorsioni cognitive” (Cognitive Distorsions). Cosa sono? Semplicemente le modalità tanto sbagliate quanto diffuse di leggere la realtà esterna, che sia individuale o sociale. Tralasciando l’elenco delle distorsioni cognitive (sono dieci in tutto, almeno le più comuni), mi interessa sottolineare la pertinenza della nona di esse, la penultima: etichettare ed etichettare in modo errato, ossia, in sostanza, bollare come realtà da censurare (Labeling and Mislabeling). Si tratta di una supergeneralizzazione (Overgeneralization). Un fenomeno viene descritto appiccicandogli addosso un’etichetta, la quale, assai spesso, è non solo da intendersi come l’unica possibile, ma assume anche una coloritura negativa.



Applichiamo la teoria alla realtà. Il popolo olandese, non in gran spolvero, ma ai minimi termini, appena al 32,2% degli aventi diritto al voto, superiore di un pelo alla soglia minima del 30%, esprime parere sfavorevole all’associazione dell’Ucraina di Poroshenko all’Unione europea. Il 61,1% dei votanti ha detto “no”. Da notare che il Parlamento olandese aveva già ratificato l’accordo con l’Ucraina e che Mark Rutte, premier olandese, fa parte della pattuglia degli europeisti un tanto al chilo. Il popolo – cioè, la realtà – ha detto no a tutto questo. Bene, e cosa dicono gli eurocrati di turno, a cominciare da Juncker? Ecco la distorsione cognitiva all’opera: “La sconfitta potrebbe aprire la strada alla crisi europea”. La categorizzazione negativa tenta di corrodere l’esito popolare olandese inserendoci per giunta un ulteriore elemento, la squalificazione del positivo (cioè della realtà che si esprime come tale), la quarta distorsione cognitiva nell’elenco di Burns e di chi si intende di queste cose.



La crisi europea c’è, ma non perché l’Olanda dice no, bensì perché l’Europa è al capolinea e la sua cronaca oggi racconta di fatto una lunga, imbarazzante e penosa agonia. Il cortocircuito interno ormai è diventato il protocollo d’intesa tra la follia e le commissioni europee. Tutto qua. La realtà aveva già dichiarato ciò, l’Olanda oggi richiama ciò che non può che essere com’è. Troppo semplice e così si distorce la realtà, buttandola in caciara, con lo scenario “Brexit” di giugno a fare da collante a questa ennesima farsa epistemologica e politica imbastita dagli eurocrati. Il re non è solo nudo, ma ha denudato tutti gli altri perché non sia il solo a prendere freddo.

È una questione esistenziale, ecco la ragione dell’uso delle distorsioni cognitive, più che politica e/o istituzionale. Se neanche con un referendum consultivo, e per giunta in Olanda, l’Ue può stare tranquilla, ragazzi tutti a casa.

Geert Wilders, che naturalmente (vedi distorsioni cognitive sopra menzionate) è solo un fetido leader “xenofobo” dice, dopo il referendum, che “questo potrebbe essere l’inizio della fine dell’Unione europea come la conosciamo oggi e sarebbe ottimo”, vade retro Satana. Ma oggi non basterà più che al governo dell’Aja si dia carta bianca sulle specifiche modalità per prendere atto del no al referendum, ci vuole altro. E questo “altro”, pur trovando cittadinanza tra le dieci distorsioni cognitive, non troverà tuttavia spazio tra i cittadini europei. Perfino al di là dell’Armageddon anti-Ue etichettato (anch’esso, appunto…) “Brexit”.