Ci sono due modi di mentire ai non credenti che a noi sono consentiti, la Taqiyya e Kitman. Lo scopo è quello di raggiungere l’avanzata della causa dell’Islam, guadagnando la fiducia dei non credenti, al fine di far emergere la loro vulnerabilità e sconfiggerli. La taqiyya, dalla parola radice waqa, “salvaguardare”: attenzione, la paura, l’auto-protezione; e quindi “dissimulazione” (al fine di proteggere se stessi). Kitman: tacere. Entrambi sono termini tecnici all’interno del credo islamico per la dispensa dagli obblighi della religione sotto costrizione o minaccia di pregiudizio, a causa della paura di un danno fisico o mentale.
Sura III, v. 28: “I credenti non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte loro. Allah vi mette in guardia nei Suoi Stessi confronti”. Questo versetto ordina i musulmani di non prendere nessuno tra quelli al di fuori della fede islamica come amico, a meno che per “proteggere se stessi” con la taqiyya. Vediamo le disposizioni del Corano. Sura II, v. 225: “Allah non vi punirà per la leggerezza nei vostri giuramenti, vi punirà per ciò che i vostri cuori avranno espresso”. Allah dà il permesso di prestare falsa testimonianza e dello spergiuro. Sura IX, v 1-3: “Disimpegno da parte di Allah e del Suo Messaggero, nei confronti di quei politeisti con i quali concludeste un patto”. Lo scioglimento dei patti con i non-musulmani è islamicamente legale.
A due mesi dall’uccisione di Giulio Regeni l’attenzione dei media italiani e internazionali è ancora rivolta all’Egitto. Le circostanze poco chiare della scomparsa del ricercatore e le controverse versioni fornite dal governo egiziano sull’accaduto, hanno sollevato numerosi interrogativi sulla deriva autoritaria del Cairo. Quale spazio è rimasto per il pluralismo politico? Quale ruolo conserva la società civile? Gli ambiti di collaborazione con l’Occidente possono risolversi unicamente nella lotta al terrorismo? Infine, quali criticità potrebbero rilevarsi nelle relazioni tra Il Cairo e Roma?
Ma c’è un convitato di pietra, a cui ogni tanto si accenna quando si parla dell’assassinio di Giulio Regeni. È una parola all’apparenza rassicurante, e allo stesso tempo saggia. Stabilità. È la stabilità dell’Egitto, alla quale dobbiamo guardare con estrema attenzione, nel nostro delicato ruolo politico nel Mediterraneo. È la stabilità dell’Egitto che ci proteggerà dall’attacco dell’autoproclamatosi “stato islamico”. È la stabilità del più importante Paese della costa settentrionale dell’Africa che dobbiamo proteggere, per tutte le ragioni politiche, economiche, strategiche che toccano l’Italia: la crisi libica, le migrazioni, il contenimento dell’integralismo di marca islamista. La stabilità è la nostra trincea e per mantenerla dobbiamo ingoiare bocconi amari. La Realpolitik è razionale, seria. La ricerca di verità e giustizia sul caso Regeni è carica di troppo idealismo.
Che cosa intendiamo, però, per stabilità? Siamo sicuri, dal punto di vista concettuale e da quello storico, che la stabilità debba essere coniugata a un atteggiamento morbido verso le violazioni dei diritti umani e civili? Siamo sicuri che la stabilità si costruisca e si mantenga con il pugno duro, e con un sistema istituzionale autoritario? Al Sisi dice: non siamo stati noi, lo Stato, i servizi. Vogliono far saltare le buone relazioni con l’Italia, il paese che per primo ha riconosciuto il nuovo corso anche per sigillare l’intesa con Eni. E’ verità o è taqiyya?
E la linea dei Fratelli musulmani, “ecco, questo è il vero volto dei militari filoccidentali…”, è taqiyya?
Ci soccorre ancora una sura: “…chiunque uccida un uomo, che non abbia ucciso a sua volta o che non abbia sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato uno, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità” (Surah al-Maaida, 5:32).
Sarà facile arrivare alla verità se anche gli assassini di Giulio Regeni l’avranno letta.