Quando pensiamo all’Egitto e alle sue relazioni con le potenze europee, il riferimento mentale va immediatamente ai legami storici che quella grande nazione ha avuto e ha con il Regno Unito. Recentemente il Primo ministro David Cameron ha definito le relazioni tra Egitto e Uk “vitali” per il suo Paese. E l’ha affermato dopo la recente visita del Presidente egiziano al-Sisi a Londra nel marzo 2016. Del resto, il Regno Unito rimane ciò che è sempre stato nel complesso del commercio mondiale: ossia, di gran lunga il più importante interlocutore economico dell’Egitto, con un ventaglio di attività che vanno dall’education, dove personalità del calibro di Sir Michael Barber collaborano con il ministro dell’Educazione per rifornire metodi e contenuti dell’insegnamento, alle energie integrative come il solare, come dimostra il successo della recentissima missione guidata da Jeffrey Donaldson, inviato speciale con competenze sul commercio estero britannico con l’Egitto nominato direttamente da Cameron e che ha recentemente concluso con il ministro dell’Elettricità Mohamed Shaker, e per conto dell’impresa inglese Actis, un importante Memorandum of Understanding per il valore di 350 milioni di sterline.



Ma il baricentro dell’intreccio tra geopolitica ed economia tra Egitto e Regno Unito rimane nelle ricerche e concessioni in merito ai combustibili fossili, dove spicca il ritrovamento di grandi depositi di gas nel delta del Nilo che BP si appresta a sviluppare, disvelandosi con il più importante, con l’Eni, investitore in campo energetico in Egitto. Ma sono i traffici merci a vedere un grande attivismo delle compagnie britanniche, come ha dimostrato la presenza del ministro della Difesa britannico Michael Fallon alla recente cerimonia tenutasi in pompa magna in occasione del raddoppio del Canale di Suez, opera cui noi italiani abbiamo prestato una deprecabile disattenzione.



Anche la Francia intensifica le sue relazioni con la grande nazione egiziana: recentemente Formiche.net ha documentato le dichiarazioni dell’ambasciatore francese in Egitto, Andre Parant, il quale ha annunciato nel corso della visita che durante gli incontri collegati alla visita di Stato di Hollande sono stati firmati oltre 30 accordi, tra cui “contratti commerciali” e “progetti finanziari” che aumenteranno la mole di scambi commerciali (per ora pari a 2,5 miliardi l’anno), e altri “dieci protocolli di intesa” su vari ambiti economici: energia, formazione professionale, turismo… e naturalmente armamenti, a cominciare dai caccia Rafale della Dassault.



Il confronto si fa duro. L’Egitto, infatti, mira alla guida della cosiddetta Nato Islamica che l’Arabia Saudita intende creare per sottrarsi quanto più possibile al ruolo di alleato subalterno degli Usa, soprattutto dopo il non negoziato avvicinamento americano all’Iran che ha sconvolto il mondo saudita per la sua rapidità e la mancanza di mediazione. Non a caso la prima potenza ad avvantaggiarsi di questa rottura o freddezza delle relazioni è stata la Russia dell’abilissimo Lavrov, grande ministro degli Esteri vero erede di Primakov e di Gromiko e fortemente sostenuto da un Putin alla disperata ricerca di una nuova posizione di potenza su scala globale.

L’Egitto ora mira a sviluppare una sorta di politica del triplo binario: in primo luogo mantenere gli storici legami con gli Usa, in secondo luogo rafforzare quelli con le potenze medio grandi (Uk e Francia che hanno la bomba atomica e sono stati grandi imperi) e medie (Italia), in terzo luogo allacciare stretti rapporti con l’Arabia Saudita dopo secoli di divisioni e incomprensioni di cui qui non vi è spazio per discutere. Il terzo lato del triangolo si concreta in grandi opere pubbliche come l’annunciata costruzione del ponte che unirà Egitto e Arabia Saudita e in concessioni strategico militari ai sauditi, come le isole Sanafir e Tiran del Mar Rosso, su cui, del resto, dovrà passare il grande ponte dal valore strategico e culturale insieme.

In tutto questo gioco la Francia tesse la tela delle relazioni economiche e militari con l’Arabia Saudita, di cui è da qualche anno l’interlocutore militare privilegiato. Anche qui ora sono ancora i sauditi a volersi liberare dai troppo stretti abbracci degli Usa.

L’Italia in questo gioco di specchi si sforza ammirevolmente di svolgere il ruolo che gli è proprio di media potenza e grazie anche alle sue imprese grandi (poche) e piccole e medie (molte e coraggiose) cerca di contenere l’offensiva dei suoi storici avversari mediterranei. Ma a essa manca la potenza di fuoco della grande impresa su scala britannica e francese e una forza militare che invece sta ancor più di un tempo indebolendosi.

A tutto sia aggiungono eventi funesti come il caso del povero studente martire delle sue passioni e dei suoi studi. Ma la politica interna fatta di emozioni e di cuori disperati non deve mai oscurare la ragion di Stato che deve essere l’essenza, sola e durissima, della politica estera.