“L’uccisione di Giulio Regeni è soltanto la punta dell’iceberg di quello che sta avvenendo ogni giorno in Egitto da due anni e mezzo. La famiglia dovrebbe pubblicare le foto perché tutti vedano che cosa gli hanno fatto. E l’Ue dovrebbe assumere toni più netti nei confronti di un regime fascista che sta violando ripetutamente i diritti umani”. Lo afferma Rania Al Malky, giornalista egiziana e caporedattore del Daily News Egypt, quotidiano in lingua inglese partner dell’International Herald Tribune.



Sull’uccisione di Regeni continuano a emergere versioni sempre più diverse e contrastanti. Lei che idea si è fatta?

Il giorno in cui Giulio Regeni è scomparso non è stato un giorno qualsiasi. Era il 25 gennaio, anniversario della rivoluzione, e le forze di sicurezza egiziane erano nelle strade per sincerarsi che non ci fossero proteste. Ritengo che la scomparsa di Regeni proprio in quel giorno non sia stata una coincidenza. La zona stessa in cui si sono perse le sue tracce, il centro del Cairo, è quella dove la polizia mostra la maggiore durezza. In alcuni casi chiude le stazioni centrali della metropolitana, in modo che la gente non possa raggiungere piazza Tahrir.



La madre di Regeni ha detto: “Non costringetemi a pubblicare le sue foto”. Che cosa ne pensa di questo appello?

La madre di Regeni ha detto di avere delle foto del suo volto, e personalmente ritengo che dovrebbe pubblicarle, in modo che tutti capiscano finalmente la verità. Il ricercatore è stato torturato a lungo. Questo rende totalmente inverosimile l’ipotesi che a ucciderlo siano stati dei criminali comuni. Non posso dire con certezza che a ucciderlo sia stata la polizia, ma le torture che Regeni ha subito sono molto simili a ciò che le autorità egiziane hanno fatto a persone comuni negli ultimi due anni e mezzo. E’ un fatto denunciato da tutte le organizzazioni umanitarie egiziane e internazionali.



Che cosa ne pensa del modo in cui gli investigatori egiziani stanno conducendo le indagini?

L’Italia ha detto di non essere soddisfatta della disponibilità alla collaborazione mostrata dalle autorità egiziane. E’ un fatto che non mi stupisce. Il procuratore che sta conducendo le indagini per conto dell’Egitto era già stato precedentemente accusato di avere torturato una persona in una stazione di polizia. Le autorità egiziane ci hanno quindi raccontato questa storia incredibile su una gang criminale specializzata nel fingersi poliziotti per rapire le persone. Una storia che comunque la si voglia credere torna molto conveniente per le autorità egiziane.

A chi torna utile questa storia?

La storia che ci è stata raccontata dalle autorità egiziane non serve ad altro che a nascondere quello che è successo veramente. Se non stessero nascondendo qualcosa, non vedo proprio perché non dovrebbero cooperare con gli investigatori italiani, rifiutandosi per esempio di fornire i filmati delle telecamere di sicurezza della zona. Ma non escludo neppure che le autorità egiziane non siano riuscite ad arrivare a nessun risultato con le loro indagini. In entrambi i casi lo ritengo inaccettabile.

 

Lei come valuta la posizione assunta dall’Ue su questa vicenda?

La ritengo troppo debole. Personalmente ritengo che l’Ue dovrebbe prendere una posizione più netta su quello che sta avvenendo, e non lasciare correre tutto. Quello che sta avvenendo in Egitto è una serie continua di abusi dei diritti umani, e il regime egiziano dovrebbe pagarne il prezzo. La situazione del Paese per quanto riguarda i diritti umani non è un segreto, tutti ne stanno parlando.

 

C’è un filo conduttore nel modo in cui Al Sisi tratta i cittadini egiziani e gli stranieri?

Quello di Sisi è un regime fascista che ha abusato i cittadini egiziani per due anni e mezzo, uccidendone un gran numero in modo indiscriminato. Nello stesso tempo il regime egiziano sta diffondendo odio e paura verso tutti gli stranieri, e poi si aspetta che i turisti continuino a riversarsi sulle spiagge del Paese. Quando uno straniero vive a lungo nel Paese, le autorità lo guardano con profondo sospetto, perché pensano sempre che sia una spia o che ci sia una sorta di cospirazione ai danni dell’Egitto.

 

(Pietro Vernizzi)