“Ciò cui stiamo assistendo in Libia è il solito ‘mercato delle vacche’. Le varie fazioni in campo stanno cercando di capire quanti soldi potrà garantire loro il nuovo governo di Al-Serraj”. Lo afferma Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale. Mercoledì il generale Khalifa Haftar, comandante delle forze armate del governo di Tobruk, ha annunciato di avere riconquistata Bengasi, inclusa la fabbrica di cemento, ex roccaforte dell’Isis. Ora il militare intende avanzare verso Sirte. Intanto il governo di unità nazionale presieduto da Fayez al-Serraj non è ancora riuscito a ottenere la fiducia del parlamento di Tobruk. L’inviato dell’Onu, Martin Kobler, mercoledì ha lasciato la città della Cirenaica dopo avere tentato inutilmente di convincere la Camera dei rappresentanti a votare in favore di Al-Serraj.



Il generale Haftar avanza verso Sirte. Che cosa sta cambiando in Libia?

Sta cambiando poco. Da un lato abbiamo Egitto e Francia che appoggiano Haftar, dall’altra Onu e Italia che cercano di insediare il governo a Tripoli. L’avanzata del generale Haftar va comunque presa con le pinze, perché ben difficilmente riuscirà ad andare oltre Bengasi.



Perché?

Perché da lì in poi c’è la cosiddetta “Alleanza delle milizie” che difende i pozzi petroliferi e che è guidata da un nemico giurato di Haftar. Ciò cui stiamo assistendo è il solito caos libico, con diversi signori della guerra che si contendono il potere.

Nel frattempo il governo di Al-Serraj è riuscito a farsi accettare a Tripoli ma non ha ancora ottenuto la fiducia del Parlamento di Tobruk. Perché?

Non direi che Al-Serraj è stato accettato a Tripoli: ciò cui stiamo assistendo è il solito mercato delle vacche. Le varie fazioni in campo stanno cercando di capire quanti soldi potrà garantire loro il nuovo governo. In base a questo le milizie e i capi gang si schiereranno. Siamo in un periodo di transizione all’interno di un complesso risiko che diventerà chiaro solo fra qualche mese. Le componenti di fondo della crisi però non sono cambiate.



L’insediamento di Al-Serraj a Tripoli è comunque un successo?

Non lo enfatizzerei troppo. Serraj governa su una base navale, e al limite può permettersi qualche passeggiata nel centro. E’ ben lontano però dal controllare tutta Tripoli. Tutto intorno ci sono milizie che rispondono a vari capi e il Paese è ancora diviso in città-stato. Al momento è cambiato ben poco, abbiamo soltanto un nome in più, quello dello stesso Serraj.

Che cosa succede intanto nel Parlamento di Tobruk?

Il governo e il Parlamento di Tobruk sono divisi al loro interno in varie fazioni che non riescono a decidere nulla. Tobruk non può certo riconoscere il governo di Al-Serraj, perché equivarrebbe a rinnegare il comandante supremo delle sue forze armate, Haftar. Siamo quindi sempre all’interno della complessa equazione libica che non mi sembra stia andando verso una soluzione.

 

All’interno di questa equazione, come vede il ruolo di Italia da un lato e Francia dall’altro?

L’Italia fin dal primo momento ha deciso di non schierarsi con Haftar, un personaggio molto contraddittorio e soprattutto molto divisivo. Ben difficilmente Haftar potrebbe imporre il suo potere in Tripolitania e quindi permettere la creazione di un potere centrale in grado di governare l’intera Libia. La Francia ha invece una strategia diversa dall’Italia, in quando fin dal 2011 Parigi ha puntato i suoi interessi sulla Cirenaica. E’ qui dove ha fatto scoppiare la rivoluzione e ha iniziato i bombardamenti. Ancora una volta siamo di fronte a una Francia che gioca una partita diversa da quella italiana e di molti altri protagonisti internazionali.

 

Il governo Renzi ha fatto la scelta giusta o poteva esserci una strategia migliore?

Sulla Libia il governo Renzi è stato assente per un lunghissimo periodo, dal febbraio 2014 allo stesso mese del 2015. Arrivando in ritardo non ha potuto fare altro che aggrapparsi alla zattera dell’Onu, puntare su una mediazione delle Nazioni Unite e infine scommettere su Serraj. Non è stato quindi in grado di condurre una politica autonoma, ma si è accodato alle mosse della comunità internazionale, giocando il ruolo di interlocutore privilegiato in quanto l’Italia è l’ex nazione colonizzatrice. Le mosse del governo Renzi in Libia sono state quindi decisamente opache.

 

(Pietro Vernizzi)