“La chiave della morte di Giulio Regeni non sono i servizi segreti bensì la polizia criminale. E’ quest’ultima che fin dall’inizio ha diffuso una serie di versioni inverosimili della vicenda, inclusa quella di un omicidio per opera di una gang di rapitori. Ma non va escluso neanche che il ricercatore sia stato ucciso per un tragico errore”. Lo evidenzia Tewfik Aclimandos, professore egiziano di storia araba contemporanea al Collège de France e membro del Comitato scientifico della Fondazione Oasis. Nei giorni scorsi la Reuters ha diffuso la notizia che, prima di essere ucciso, Regeni sarebbe stato tenuto in detenzione dalla polizia. Il ministero degli Interni egiziano ha sempre smentito un fermo o un arresto di Regeni, ma l’agenzia di stampa britannica sostiene di averne ricevuto conferma da parte di tre ufficiali dell’intelligence egiziana e tre fonti di polizia.
Ritiene attendibile ciò che ha diffuso la Reuters?
Non è la prima volta che trapelano queste indiscrezioni. La maggior parte delle fonti affermano che la chiave di questa vicenda è la polizia criminale. Sono gli investigatori di quest’ultima che hanno diffuso la storia secondo cui i responsabili della morte di Regeni sarebbero i membri di una gang di rapitori.
Non è la prima volta che circolano strane spiegazioni della sua morte.
Infatti. Una settimana-dieci giorni fa è circolata un’ulteriore versione, e cioè che Regeni sarebbe stato arrestato dalla polizia criminale, quindi consegnato alla polizia politica, e di qui all’intelligence militare. E’ una storia abbastanza assurda, mentre è molto più plausibile che le responsabilità siano soltanto della polizia criminale, come sembra emergere dall’inchiesta della Reuters, anche se non posso garantire che quest’ultima sia la realtà dei fatti.
Perché allora fonti di intelligence egiziana avrebbero raccontato alla Reuters questa storia?
E’ possibile che le autorità egiziane si siano stufate dei continui errori della polizia criminale, e intendano operare una sua ristrutturazione utilizzando il caso Regeni per punire i suoi funzionari. Sappiamo per esempio che tre giorni fa un poliziotto ha sparato a un venditore ambulante perché vendeva il tè a un prezzo troppo alto. Può darsi che le autorità abbiano deciso che è arrivato il momento della resa dei conti con la polizia.
Il modo in cui è stato torturato Regeni ci danno un indizio di chi può essere stato?
E’ molto improbabile che a torturarlo in qual modo sia stata una gang criminale. D’altra parte non si tratta del modus operandi abituale del ministero dell’Interno. Un portavoce della polizia non a caso ha dichiarato alla Reuters: “Se noi avessimo avuto sospetti sulle attività di Regeni la soluzione sarebbe stata semplice: espellerlo”. Purtroppo nel caso del ricercatore italiano qualcosa è andato nel verso sbagliato.
In che senso?
La sua morte è un fatto atroce e terribile. Ma in ogni caso di solito la polizia non uccide cittadini stranieri, e comunque anche se lo avesse fatto poi non avrebbe fatto scoprire il suo corpo ma lo avrebbe fatto scomparire. Non escludo che Regeni sia stato ucciso per errore.
In questi giorni Hollande è stato in visita ufficiale al Cairo. Che cosa c’è dietro a questa vicenda?
Tanto il governo italiano quanto quello francese hanno lo stesso interesse: entrambi vogliono che il regime di Al-Sisi abbia successo. Se infatti il suo governo dovesse collassare ci sarà un’altra ondata migratoria verso l’Europa. In Egitto vivono 90 milioni di persone, e gli Stati del Sud Europa non possono certo permettersi un milione di profughi dal nostro Paese.
Gli interessi reciproci passano anche dalla Libia?
Sì. Tanto Parigi quanto Roma hanno bisogno dell’Egitto per risolvere la crisi libica. In questo senso entrambi i Paesi hanno una partnership strategica con il Cairo. Per l’Egitto, Italia e Francia sono tra i cinque alleati più importanti. D’altra parte l’Egitto sente il bisogno di rendersi più indipendente dalla fornitura di armi degli Stati Uniti, in quanto Washington ha poi la tendenza a volerne influenzare la politica. In ogni caso la partnership tra Italia ed Egitto non toglie che il governo Renzi faccia bene a insistere per conoscere la verità. Può darsi che alla fine la verità non verrà a galla, ma l’Italia ha ragione a pretendere che le indagini siano trasparenti.
(Pietro Vernizzi)