“Il risultato delle elezioni in Austria documenta una tendenza in atto nell’intera Europa. La gente vota contro i partiti moderati di centrodestra e di centrosinistra perché li avverte come impotenti nei confronti dei diktat Ue”. Lo evidenzia Marcello Foa, giornalista e docente di comunicazione nell’Università della Svizzera italiana. Dopo il primo turno delle elezioni politiche in Austria, vanno al ballottaggio Norbert Hofer dell’estrema destra (36%) e Alexander van der Bellen dei Verdi (21%). Restano esclusi invece l’indipendente Irmgard Griss (19%), il socialista Rudolf Hundstorfer (11%) e il popolare Andreas Khol (11%). L’Austria è una Repubblica semipresidenziale federale il cui governo uscente è presieduto dal socialdemocratico Werner Faymann.
Come legge i risultati delle elezioni in Austria?
Questo risultato ha una valenza che va oltre i confini austriaci e il consenso del singolo partito. Conferma una tendenza molto marcata di disaffezione degli elettori nei confronti dei partiti che rappresentano le istituzioni e la continuità. Ciò avviene anche in un Paese come l’Austria dove dal punto di vista economico si sta bene. E’ un fenomeno che colpisce i partiti moderati sia di destra sia di sinistra, tanto è vero che né i Socialisti né i Popolari austriaci sono riusciti ad arrivare al ballottaggio.
In quali altri Paesi è in atto lo stesso fenomeno?
Per esempio in Italia, dove si registra il successo di Lega nord e M5s e in Francia con il Front National. Il risultato austriaco in questo senso non è distonico ma riflette un sentimento molto diffuso.
Da che cosa dipende questo sentimento diffuso?
Dalla percezione di una grande insicurezza. Prima quando le cose andavano male la gente sapeva di poter votare per un altro partito con la speranza di un cambiamento autentico. Oggi ci si rende conto che, a prescindere dal fatto che vadano al potere il centrodestra o il centrosinistra moderati, i governi di fatto applicano le stesse politiche perché costretti dall’Ue.
Il voto di protesta è quindi la reazione a una sensazione di impotenza?
La gente si sente tradita perché si rende conto di essere costretta a subire determinate situazioni gestite a livello sovranazionale. Fortunatamente nei nostri Paesi è presente una coscienza democratica autentica e si è quindi sviluppata una ribellione molto trasversale. A votare per i partiti anti-establishment non sono solo rappresentanti di posizioni estreme, ma spesso anche la piccola e media borghesia sia di centrodestra sia di centrosinistra. Oggi l’elettorato è estremamente mobile, ma il disagio è condiviso da tutte le fasce della popolazione.
Anche il successo di Alternative fur Deutschland in Germania va in questa direzione?
Sì, non è un caso che anche in Germania il partito AfD abbia appena ottenuto un risultato notevolissimo. Tanto in Germania quanto in Austria il fenomeno migratorio ha avuto un effetto scatenante. C’è il timore molto forte di un’invasione dei profughi che genera insicurezza e sfiducia nei confronti di governi che, agli occhi della gente, prendono ordini da Bruxelles. Gli elettori vorrebbero invece che le questioni più importanti fossero decise da governi autenticamente sovrani.
Quale influenza hanno avuto politiche come il patto Merkel-Erdogan sui migranti?
Hanno influito molto. Quando l’Ue si lascia ricattare dalla Turchia, che di fatto la mette con le spalle al muro, si fa raddoppiare i fondi e pretende di estorcere lo status di Paese membro, la reazione dell’opinione pubblica è di forte malcontento. I partiti anti-europei si rafforzano quindi anche in Paesi benestanti come l’Austria o che hanno aderito da poco all’Ue come Ungheria e Polonia. La gente preferisce riscoprire il valore della sovranità anziché continuare a credere in un’Ue che si traduce sempre di più in una sottrazione di indipendenza.
Chi vota per i partiti anti-establishment vuole meno Europa o un’Europa diversa?
Questo dipende dalle declinazioni attuate dai diversi partiti all’interno dei singoli Paesi. Se dovesse andare al potere un partito anti-establishment, è del tutto prevedibile che da parte dell’Ue ci sarà una reazione durissima. In pratica si cercherà di mettere con le spalle al muro il Paese “ribelle”. Come documenta l’esperienza di Varoufakis in Grecia, fino a oggi chi ha sperato di poter riformare l’Ue dall’interno si è ritrovato con le ossa rotte. Questo atteggiamento di chiusura e di boicottaggio sistematico di chi cerca di cambiare le regole alla fine non farà altro che favorire il gioco degli euroscettici.
(Pietro Vernizzi)