“La realtà dei fatti è che non esiste nessuna ‘orda di barbari’ che si accinge ad attraversare il Brennero per andare in Austria. La chiusura delle frontiere per ora si limita a creare problemi ai camionisti e ad altri veicoli che passano abitualmente il confine per attività normali e lecite”. Lo sottolinea Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia ed esperto di immigrazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Il governo austriaco nei giorni scorsi ha presentato un piano di controlli al Brennero, fatto di installazioni confinarie e di pattugliamenti di polizia.
Professore, qual è l’entità dei flussi reali tra Italia e Austria?
Anche in passato, dal confine tra Italia e Austria non sono mai passate folle oceaniche di migranti. La scelta di Vienna è chiaramente di natura politica, in quanto gli austriaci si preparano a votare per il ballottaggio. Il governo austriaco deve quindi dimostrare al suo elettorato di essere attento, preparato e sensibile al tema migranti. Inoltre la mossa di Vienna è la dimostrazione di una certa forza preventiva.
Qual è il messaggio del governo austriaco?
Dimostrare di essere in grado di proteggere il sacro territorio della patria dall’invasione straniera. E questo anche se per ora non c’è nessuna “orda di barbari” che vuole andare in Austria. La chiusura delle frontiere per ora si limita a creare problemi ai camionisti e ad altri veicoli che passano abitualmente dal Brennero per attività normali e lecite. In questo senso diventa un fattore di indebolimento dei rapporti internazionali e degli scambi.
Se quest’estate dovesse scoppiare la “bomba” migratoria libica, l’entità dei flussi reali tra Italia e Austria che livelli potrebbe raggiungere?
Questo nessuno è in grado di dirlo. L’Austria incomincia con il mettere un controllo che allo stato attuale è del tutto inutile, se non come messaggio. Nel momento in cui i flussi verso il Nord Europa alimentati dalla Libia dovessero diventare consistenti, Vienna cercherà di fermarli. La preoccupazione degli austriaci è anche legata ai flussi provenienti dai Balcani. Se infatti la rotta balcanica si ferma alla frontiera con la Grecia, i migranti ricominceranno a puntare verso l’Italia per andare verso il nord attraverso la via naturale del Brennero.
La legge italiana prevede che un migrante, dopo 18 mesi di permanenza nei Cie, sia rimpatriato, ma nel 2015 ci sono stati solo 80 respingimenti. Le nostre norme sono realmente applicate?
I numeri parlano da soli. La legge sulla carta c’è ma è applicata solo in parte, anche per la consapevolezza che non ci possiamo permettere di affrontare i costi per rimpatriare tutti i migranti.
Se l’Italia non rispetta le sue stesse leggi, allora ha ragione l’Austria a essere preoccupata?
Capisco la provocazione. Nella gestione dei flussi migratori c’è stata comunque una buona capacità da parte del nostro sistema Paese. Qualche volta si è chiuso un occhio rispetto a regole che poi creavano solo maggiori problemi. Un esempio classico è il fatto che in taluni casi, se il migrante si rifiuta, le autorità italiane non prendono le impronte digitali. Questa scelta può essere presentata come una forma di rispetto della dignità della persona, ma è anche un’occasione per non schedare un profugo. Nel momento infatti in cui quest’ultimo raggiunge un altro Paese Ue, non possono rispedircelo indietro.
Quindi una sfiducia dell’Austria nei confronti della gestione italiana è giustificata o no?
La sfiducia degli austriaci non è giustificata. Viste anche le dimensioni della crisi, l’Italia ha dimostrato di essere stata in grado di tamponarla nel modo giusto. Certo non è la soluzione, ma sono stati ampliati i centri straordinari e si è cercato di mantenere anche un certo rispetto della vita umana.
(Pietro Vernizzi)