Lunedì all’alba sono iniziate le prime operazioni per rimandare in Turchia i migranti che avevano raggiunto il territorio di Paesi Ue. Un primo gruppo di 202 profughi sono stati imbarcati su due piccoli traghetti e rimandati in Turchia. Ne abbiamo parlato con Gian Carlo Blangiardo, professore di demografia ed esperto di immigrazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che di recente è stato a Gazientep, al confine tra Turchia e Siria.
Professore, come valuta l’accordo Ue-Turchia diventato operativo da martedì?
E’ un modo per tamponare la falla, cioè per fronteggiare l’emergenza che deriva dal fatto che i migranti sono in aumento. La soluzione escogitata dall’Ue è quella di rimandarli indietro una buona parte, pagarne il prezzo corrispondente e accontentare tutti.
Lei di recente è stato a Gazientep, al confine tra Turchia e Siria. Che cosa ha osservato per quanto riguarda l’accoglienza dei migranti?
Tra le iniziative della Turchia per accogliere queste persone, accanto alla fornitura di quei beni materiali di cui hanno bisogno persone e famiglie, c’è la questione dell’educazione dei bambini. Da un lato ci sono dei fatti encomiabili. Il governo turco infatti ha organizzato due turni per le lezioni: il primo inizia alle 6.30 del mattino, con i bambini turchi che si vedono costretti ad anticipare l’orario di lezione, e il secondo nel primo pomeriggio.
Quale lingua è insegnata ai bambini siriani?
Ai bambini siriani è insegnato il turco. Questo da un lato va bene, nel senso che comunque è un elemento di formazione, ma le loro madri, che abbiamo incontrato in quell’occasione, hanno espresso una certa preoccupazione. Ciò derivava dal fatto che temevano che imparando il turco dovessero in qualche modo rinunciare alla loro lingua d’origine, cioè l’arabo. Questo potrebbe essere visto come un tentativo di colonizzazione culturale, che poi potrebbe anche diventare una colonizzazione effettiva. Questo naturalmente non è un buon segnale.
Intende dire che i migranti possono dare a Erdogan il pretesto per mettere le mani su aree della Siria?
Non sono un esperto di geopolitica, ma da profano ci vedo un rischio. La Siria dispone di campi petroliferi e di altre risorse naturali, e comunque alla Turchia metterci un occhio sopra fa comodo anche in un’ottica di accrescimento del suo ruolo nella zona. Avere un piede in Siria, per la Turchia vorrebbe dire essere meglio piazzata in Medio Oriente.
Il nostro Paese dovrà pagare 3 miliardi alla Turchia. Il gioco vale la candela?
In un’ottica di ammortamento dei costi, se gli sbarchi saranno tantissimi in qualche modo arginarli al costo di 3 miliardi può essere conveniente. Ciò non toglie che siccome una parte significativa degli sbarchi futuri proverrà dall’Africa, è possibile che questa operazione non abbia tutti quei vantaggi che apparentemente sembra avere.
(Pietro Vernizzi)