“Nella morte di Regeni non ci sono soltanto le responsabilità dei suoi torturatori, ma anche degli accademici inglesi che lo hanno mandato a svolgere un lavoro per il quale sapevano benissimo che rischiava quella fine”. Lo afferma Fausto Biloslavo, inviato di guerra de Il Giornale e Panorama. La delegazione egiziana incaricata di fare luce sul caso Regeni arriverà in Italia oggi, mercoledì, in un clima che si presenta surriscaldato fin dall’inizio. Martedì il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, ha sottolineato: “Ci fermeremo solo quando troveremo la verità, quella vera e non di comodo”. Il responsabile della Farnesina ha inoltre minacciato “misure tempestive e proporzionate” contro l’Egitto. Una nota del ministero degli Esteri egiziano ha replicato a distanza di poche ore: “Il discorso e le osservazioni di Gentiloni complicano ulteriormente la situazione alla vigilia dell’arrivo della squadra di pubblici ministeri e di alti funzionari egiziani a Roma per condividere con gli inquirenti italiani gli ultimi sviluppi nelle indagini”.



Gentiloni ha minacciato che senza una svolta l’Italia è pronta a contromisure nei confronti dell’Egitto. Quali?

Volere è potere: dopo i roboanti annunci di Gentiloni, voglio vedere anch’io quali saranno i provvedimenti. Un conto però è richiamare l’ambasciatore, come è stato fatto mille volte nei confronti dell’India per il caso dei marò. Ben altra cosa è ritirarlo definitivamente: quest’ultimo gesto rappresenterebbe un vero atto di rottura diplomatica. Mentre andrei molto più cauto per quanto riguarda la collaborazione energetica bilaterale. L’ultimo accordo tra l’Eni e l’Egitto sull’estrazione di gas interessa a entrambi, e cancellarlo danneggerebbe tanto loro quanto noi.



Lei che idea si è fatto dell’uccisione di Regeni?

In questa vicenda ci sono tutte le “impronte digitali” di un sistema poliziesco brutale. Quello di Al-Sisi è un sistema poliziesco che tortura e fa sparire le persone e governa in modo autoritario, anche se l’Egitto non è certo una dittatura in stile Corea del Nord. D’altra parte ammesso e non concesso che i responsabili siano all’interno dell’apparato egiziano, questa vicenda è stata talmente un boomerang per lo stesso Al-Sisi che sicuramente il gioco, per quanto tremendo, non ne è valsa la candela. In Egitto del resto non c’è un unico servizio segreto, bensì vari gruppi di intelligence.



Oltre a un delitto della polizia, ci sono altre piste che meritano di essere seguite?

Sì. Per esempio Regeni aveva presentato una richiesta a una fantomatica Antipode Foundation per realizzare un progetto sui sindacati in Egitto. Il bando prevedeva un finanziamento pari a 10mila sterline inglesi, e sembra che il ricercatore ne avesse parlato anche con i leader sindacali. Gli stessi attivisti anti-regime talvolta sono stati visti con sospetto, in quanto per esempio sono stati considerati informatori della polizia. E’ anche questa una pista parallela da analizzare e seguire come tutte le altre: fino a quando non ci sono delle prove concrete non dobbiamo avere un’unica verità precostituita.

Lei come valuta il modo in cui i referenti accademici di Regeni si sono comportati nei suoi confronti?

Anche questo è un aspetto non indifferente. La sua tutor Maha Abdelrahman, prima di farlo partire, ha tenuto una conferenza stampa a Cambridge nella sede di Amnesty International, durante la quale ha presentato tutti i pericoli che giornalisti, attivisti, studenti e ricercatori corrono sotto il regime egiziano. Pochi mesi dopo la Abdelrahman ha controfirmato il via libera per inviare Regeni a condurre una ricerca che sicuramente avrebbe dato fastidio al regime egiziano.

 

Ma a lei non sorprende che Regeni disponesse di così tanti contatti in Egitto?

I contatti gli sono stati forniti da una certa Anne Alexander. Lo scorso novembre, quando Al-Sisi è andato a Londra, la Alexander si è fatta filmare in una manifestazione di piazza che voleva boicottare la visita del presidente egiziano. Un video mostra la stessa Alexander, circondata dalle bandiere dei Fratelli Musulmani, mentre dice: “Al-Sisi si presenta come un capo di Stato ma è solo un killer”.

 

Chi è veramente Anne Alexander?

La Alexander è chiaramente un’attivista anti-Sisi. A quel punto i servizi segreti egiziani l’hanno collegata a Regeni e hanno cominciato a seguire e fotografare il ricercatore. E’ giusto quindi che i torturatori del ricercatore siano arrestati e condannati a morte. Però ci sono anche tante altre responsabilità, comprese quelle degli accademici di Cambridge che oltre a fare gli studiosi sono impegnati anche come agitatori politici.

 

(Pietro Vernizzi)