Migliaia di persone hanno partecipato ai funerali svoltisi a Beirut del comandante delle operazioni speciali di Hezbollah, Mustafa Amine Badreddine. Secondo il gruppo sciita libanese, il suo leader militare è morto in un’esplosione vicino all’aeroporto di Damasco. Dall’inizio della guerra civile Hezbollah ha inviato migliaia di soldati a sostenere il presidente siriano Bashar Assad. Badreddine era la mente di tutte le operazioni del gruppo sciita in Siria dal 2011. In seguito all’assassinio del premier libanese Rafiq Hariri a Beirut nel 2005, era stato anche accusato di averne guidato l’uccisione. Inizialmente la tv libanese al-Mayadeen aveva riferito che Badreddine, 55 anni, era morto a causa di un bombardamento israeliano. Ma una successiva dichiarazione di Hezbollah non cita Israele, e le stesse autorità dello Stato ebraico si sono rifiutate di commentare la morte del comandante. Ne abbiamo parlato con padre Samir Khalil Samir, gesuita residente a Beirut e uno dei massimi studiosi del mondo islamico.



Padre Samir, che cosa pensa dell’uccisione di Badreddine?

In questo momento non è in corso un conflitto tra Israele ed Hezbollah, anche se Israele è certamente nemico del gruppo sciita. D’altra parte anche l’Arabia Saudita ha come primo nemico l’esercito sciita che difende il Libano. Non a caso a fine febbraio i sauditi avevano inserito in una blacklist quattro aziende e tre uomini libanesi con l’accusa di essere legati a Hezbollah. Del resto l’Arabia Saudita, pur avendo compiuto raid aerei in Yemen, non arriverebbe mai a compiere un attacco diretto in Siria. Resta però il fatto che Riyadh ha dichiarato che se avesse potuto eliminare Hezbollah lo avrebbe fatto.



E’ verosimile l’ipotesi che il comandante sia stato ucciso da Israele?

Anche nell’ipotesi che il mandante della morte di Badreddine sia Israele, non lo avrebbe fatto certo direttamente bensì pagando qualcuno per suo conto. Più semplicemente potrebbe essere stato l’Isis che dal punto di vista ideologico dipende dall’Arabia Saudita, con la quale condivide il principale nemico, cioè gli sciiti e in particolare Hezbollah. Anche questa ipotesi manca di una conferma, ma non mi sorprenderebbe se le cose stessero così.

Ma Arabia Saudita e Israele non sono in qualche modo agli antipodi?

Sappiamo che quando si tratta di attaccare gli sciiti, e in particolare Iran ed Hezbollah, l’Arabia Saudita è legata a Israele. Già l’anno scorso Riyadh ha dato il permesso agli aerei israeliani di sorvolare l’Arabia Saudita qualora ciò avvenisse per bombardare l’Iran.



Qual è la strategia di Hezbollah in Siria?

Hezbollah è collegato al regime siriano e sta compiendo grandi sforzi per combattere l’Isis, ottenendo anche dei successi sul campo. Il dramma che viviamo in Siria da cinque anni nasce dall’odio dei sunniti contro gli sciiti. In Iraq gli sciiti sono al governo in quanto sono numericamente maggioritari rispetto ai sunniti, da quando il precedente governo del sunnita Saddam Hussein era del resto stato rovesciato in seguito all’intervento americano.

Che cosa c’entra questo con la Siria?

C’entra perché in Siria abbiamo esattamente la situazione opposta. Da circa 50 anni il governo è nelle mani degli alawiti, che sono a loro volta sciiti, pur essendo la minoranza. Questi ultimi rappresentano il 15-17% della popolazione siriana, mentre i sunniti sono il 70%. Il fatto di essere la maggioranza della popolazione ma non poter controllare il governo suscita la rabbia dei sunniti, ma questo non giustifica la guerra generalizzata cui stiamo assistendo.

 

L’odio tra sunniti e sciiti è reciproco?

Sì, ma pur con delle eccezioni l’islam sciita è più disponibile al dialogo. Il clero sciita è molto più aperto a tutte le dimensioni della vita spirituale e umana rispetto a quello sunnita.

 

Nel frattempo lei come valuta i risultati dell’intervento russo in Siria da settembre a oggi?

Di tutte le operazioni militari messe in atto contro l’Isis, quella russa è l’unica a essere risultata in parte efficace quantomeno in alcune aree. Mosca è riuscita a fare arretrare lo stato islamico nella zona di Aleppo e costretto i mujaheddin a ritirarsi da altre parti del Paese. L’esercito siriano di conseguenza è riuscito a conquistare alcune aree. Rimane ancora molto da fare per cacciare i terroristi dell’Isis. Mettendo a confronto da un lato il contributo russo e dall’altra quello europeo e americano, non ci sono però dubbi sul fatto che la Russia sia intervenuta in modo più efficace.

 

(Pietro Vernizzi)