“Il generale Khalifa Haftar è un nuovo Gheddafi. Se la comunità internazionale vuole la stabilità della Libia, deve sostenere a tutti i livelli il premier Fayez Al-Sarraj, venendo incontro alle sue richieste di mettere fine o attenuare l’embargo sulle armi”. E’ quanto afferma Abdel Fattah Hasan, cittadino egiziano che vive nella città libica di Misurata, esponente dei Fratelli musulmani e professore di lingua e letteratura italiana nel dipartimento di Italianistica dell’Università. In un’intervista all’emittente televisiva Libya Al-Hadath, il capo di Stato maggiore del governo di Tobruk, Haftar, aveva rimarcato che i decreti del consiglio presidenziale di Al-Sarraj “sono solo inchiostro su carta senza valore e non mi riguardano: non penso che si possa formare un governo mentre si combatte il terrorismo”.



Professor Hasan, come si spiega questa posizione di chiusura da parte di Haftar?

Questa frase di Haftar riassume la sua posizione contro la rivoluzione e contro la stabilità della Libia. Ritengo in questo senso emblematico che il generale abbia bombardato Derna poco dopo che i rivoluzionari l’avevano liberata dall’Isis. Non a caso lo slogan di Haftar è: “O me o il caos”.



La richiesta di Al-Sarraj di porre fine all’embargo delle armi in Libia rischia di rendere il conflitto ancora più cruento?

Il governo legittimo in Libia è quello di Al-Sarraj. Per fare il bene di questo Paese occorre combattere i tagliagole sotto le insegne del Consiglio presidenziale. I sostenitori di Al-Sarraj sono gli unici a combattere seriamente contro l’Isis. Se non si pone fine all’embargo delle armi il conflitto sarà dunque ancora più sanguinoso. L’Isis dispone infatti di rifornimenti di armi, e quindi le forze del Consiglio presidenziale devono avere a loro volta tutti gli strumenti per combattere questi tagliagole.



Non le sembra che Al-Sarraj stia cercando di dettare a tutti le sue condizioni?

Non si tratta di dettare le condizioni. Al-Sarraj è riuscito a entrare a Tripoli senza spargimento di sangue, e ciò documenta il fatto che sta lavorando in modo paziente e silenzioso per il bene del Paese. Ora sta attendendo il voto di fiducia al suo governo da parte del Parlamento di Tobruk. Il Paese si trova in una crisi politica, militare ed economica, ma Al-Sarraj sta dando una grande prova di sangue freddo. Anche per questo si è rivolto alla comunità internazionale chiedendole una maggiore credibilità, in quanto le numerose visite a Tripoli dei suoi vari esponenti non hanno prodotto risultati.

Misurata è schierata a favore o contro Al-Sarraj?

Tanto a Misurata quanto nel resto della Libia c’è chi fin dall’inizio ha sostenuto il governo di unità nazionale. Altri stanno a vedere che cosa farà il governo e se ha gli strumenti per risolvere i problemi del Paese. Quindi a Misurata, come in tutte le città libiche, c’è una parte a favore e una contro Al-Sarraj. Chi è contro lo fa non perché si opponga alla stabilità nel Paese, ma perché vuole prima vedere quali risultati concreti è in grado di ottenere il Consiglio presidenziale.

 

Che cosa deve fare la comunità internazionale?

La comunità internazionale deve continuare ad appoggiare gli sforzi di Al-Sarraj. Se così non fosse, i terroristi continueranno ad avanzare sul terreno. La conseguenza sarà che centinaia di migliaia di migranti attraverseranno il Mediterraneo per raggiungere l’Italia.

 

I media hanno parlato di esecuzioni di massa da parte dell’Isis a Sirte. C’è apprensione in Libia per queste notizie?

Qui dove vivo il rafforzamento dell’Isis sta provocando grande paura. Questo sentimento coinvolge tutto il popolo libico, che non ama il fanatismo ma vuole soltanto vivere in modo libero e dignitoso. E soprattutto il popolo libico non vuole un altro tiranno come Gheddafi, anche se nelle vesti di Haftar. Questa situazione, per quanto molto delicata, è un’occasione d’oro perché la comunità internazionale rompa gli indugi e sostenga realmente Al-Sarraj.

 

(Pietro Vernizzi)