La visita di Barack Obama lo scorso aprile in Arabia Saudita, già caratterizzata da diversi aspetti problematici a cominciare dall’accordo con l’Iran sul nucleare, era stata accompagnata anche dalla minaccia dell’approvazione di una legge che avrebbe consentito ai parenti delle vittime degli attentati del settembre 2001 di intentare causa all’Arabia Saudita, se fosse stata accertato il supporto governativo agli autori degli attentati. In effetti, 15 dei 19 terroristi avevano la cittadinanza saudita, ma la commissione di inchiesta aveva scartato ogni responsabilità del governo arabo negli attentati. La formulazione utilizzata nel rapporto ha destato diverse critiche, in quanto si escludevano responsabilità del governo saudita come istituzione o di funzionari di altro grado, lasciando tuttavia aperta la possibilità di altri livelli di coinvolgimento delle autorità saudite. Tanto più che 28 pagine del rapporto del Congresso rimangono tuttora secretate e riguarderebbero proprio l’Arabia Saudita.



Obama aveva dichiarato che avrebbe posto il veto qualora la proposta di legge venisse approvata, ciò nonostante il 17 maggio il Senato ha approvato all’unanimità la proposta bipartisan, denominata Justice Against Sponsors of Terrorism Act (Jasta). Il portavoce della Casa Bianca ha ribadito il parere contrario del presidente e sottolineato che l’eliminazione dell’immunità giuridica degli Stati sovrani rappresenta un precedente pericoloso che potrebbe essere adottato anche da altri e ritorcersi contro gli stessi Stati Uniti. Il Jasta è stato invece ovviamente molto ben accolto dall’associazione dei parenti delle vittime, che in un loro comunicato hanno ringraziato il Senato per quello che definiscono un atto di giustizia. Il comunicato esclude anche il pericolo di rappresaglie verso gli Usa, perché la proposta approvata riguarda governi che appoggiano il terrorismo, mentre invece gli Stati Uniti lo combattono.



Le reazioni saudite sono altrettanto ovviamente negative, con la soggiacente minaccia di ritirare investimenti negli States per 750 miliardi di dollari, anche se non appare una questione così semplice. Commentatori sauditi fanno peraltro notare che se  fossero portate avanti le cause prospettate, i tribunali americani potrebbero comunque congelare i loro investimenti, come già avvenuto per esempio con l’Iran. Il ministro degli Esteri saudita ha dichiarato che questa legge, se approvata, sarebbe un brutto segnale per gli investitori esteri, non solo per l’Arabia Saudita, e rappresenterebbe una violazione del diritto internazionale che trasformerebbe “il mondo del diritto internazionale nella legge della giungla”.



Il Jasta deve ora passare alla Camera dei Rappresentanti, dove l’atteggiamento sembra più cauto e si vuole prima esaminare a fondo il testo approvato dal Senato; per il momento non sono stati fissati tempi precisi per l’esame. Il punto è che si sta sempre più avvicinando l’inizio della campagna elettorale vera e propria e, in ogni caso, il Jasta sarà un problema del prossimo presidente. Sia Hillary Clinton che Berni Sanders hanno sostenuto la proposta, opponendosi a Obama; Trump non ha preso una posizione specifica sull’argomento, ma è nota la sua posizione sul Medio Oriente. Comprensibile, perciò, l’attuale forte tensione tra Usa e Arabia Saudita. 

Non a caso, il giorno dopo la votazione al Senato, la Saudi Gazette, quotidiano in lingua inglese di Jedda, pubblicava un articolo dal titolo “L’Arabia Saudita è un free rider“, con riferimento alla frase di Obama in una discussa intervista a The Atlantic in cui aveva accusato gli alleati di comportarsi come “free riders”, vale a dire da “scrocconi” alle spalle degli Usa. L’autore dell’articolo, Tariq A. Al-Maeena, un commentatore socio-politico arabo, riporta il parere di un presunto osservatore occidentale, chiamato John (l’impressione è quella di un artifizio giornalistico), secondo il quale se si vuol parlare di debiti sono proprio gli Stati Uniti ad averne nei confronti dell’Arabia Saudita. Segue un lungo elenco di “favori” fatti dai sauditi agli americani, partendo da 41 anni (dal 1932 al 1973) di petrolio fornito a prezzi inferiori al costo di produzione, all’aiuto dato agli Usa durante la Guerra Fredda contro l’Unione Sovietica, per finire con l’accusa agli americani di aver creato loro il terrorismo islamico, sostenendo i talebani durante la guerra dei russi in Afghanistan e non dando opportunità di lavoro e di crescita ai giovani, che così si uniscono a Daesh e agli altri gruppi terroristici.

Questa “sparata” contiene gran parte degli elementi che contrappongono Arabia Saudita e Stati Uniti: la guerra del petrolio, la decennale alleanza contro i nemici dell’Occidente, tra cui anche l’attuale Russia che si contrappone ai sauditi in Siria, oltre che sul petrolio, il fallimento culturale dell’Occidente che mette a repentaglio le “sane” società arabe.

Sembrerebbero tempi difficili per i presidenti, attuale e futuro, degli Stati Uniti, con un ultimo paradosso: la definizione di “scrocconi” per gli alleati trova d’accordo il nemico interno per eccellenza, il Repubblicano Trump, che dichiara essere giunto il tempo che gli alleati si diano da fare e la smettano di sfruttare gli Stati Uniti.