NEW YORK — “In politica può succedere di tutto”, usava dire Lyndon B. Johnson, con una frase la cui apparente banalità nasconde in verità una buona misura di saggezza, e la corrente campagna elettorale negli Stati Uniti ne è un’illustrazione eccellente. Sta per uscire di scena il primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti (Barack Obama) — che in quanto tale ha dovuto fin dall’inizio tentare di “far dimenticare” la sua negritudine (se è lecito usare il venerabile termine legato alla scrittura degli anni Trenta del poeta Aimé Césaire), e comportarsi da “bianco”. E sta per entrare in scena, assai probabilmente, la prima presidente (presidentessa? Presidenta? Sono in arrivo noiose dispute terminologiche) donna nella storia degli Stati Uniti. La candidatura di Hillary Clinton ha già spaccato quel che resta del movimento femminista nel Paese, e lei sta per diventare la prima figura presidenziale nella storia statunitense ridotta ad un’anatra zoppa (lame duck) prima ancora di assumere il suo incarico (“anatra zoppa”, com’è noto, è il nomignolo in politichese di un politico uscente che non può ricandidarsi).
Applicando al caso presente la rozza ma funzionale dialettica di cui fra altri Noam Chomsky sta parlando da decenni, si può dire che Hillary Clinton, per far dimenticare la sua femminilità/femminismo/femmineità, si lancerà vigorosamente in una politica bellicosa e avventuristica. Quanto al suo fortissimo avversario — quel Donald Trump che si sciacqua la bocca con la parola “denaro” — se perderà, com’è probabile ma tutt’altro che certo, sarà perché la sua avversaria (che usa un linguaggio egalitaristico) ha accumulato più fondi di lui. “Gatti grassi” (fat cats) è il nomignolo statunitense dei grandi capitalisti: e ormai è chiaro che i gattoni della Clinton sono più grassoni di quelli di Trump.
Il quale ultimo (se riuscirà a passare indenne attraverso le insidie di uno Stato parallelo che non ha tanti scrupoli nel neutralizzare le figure politiche scomode) è comunque già riuscito a spaccare in due il partito repubblicano. L’ultima copertina del settimanale The New Yorker mostra una caricatura di Trump che, in veste di mago prestigiatore, è intento a segare in due un elefante, cioè il simbolo dei repubblicani — e a proposito, The New Yorker, feroce nemico di Trump, ha dedicato ultimamente a quest’ultimo un numero record di caricature, aumentandone così la popolarità.
Dunque, il partito cosiddetto conservatore sta vivendo un periodo di turbolenza quasi rivoluzionaria, mentre il partito democratico, cosiddetto progressista, è riuscito ad assorbire senza troppe scosse la dissidenza interna, e prosegue con il suo tran-tran di buonismo imperialista. Chi sarà il successore di Karl Marx (la cui filosofia si è espressa più vigorosamente nella saggistica polemica che nella teoria economica) nel tracciare con penna colorita le cronache satirico-filosofiche degli Anni Folli dell’Impero Americano?