L’esodo dei 50mila cristiani da Homs è iniziato già da fine 2011 con l’arrivo dei ribelli del Free Syrian Army, della brigata Farouq e dei pakistani. Rimanere era impossibile: voleva dire l’esproprio della casa, in alcune località il pagamento della Jizya, soprusi, la prospettiva di una vita grama. Padre Frans Van der Lugt non aveva voluto lasciare i suoi ultimi 66 parrocchiani rifugiati nella sua chiesa: così il il 7 aprile 2014, è stato assassinato dai ribelli nell’ambito dell’operazione “amputare le gambe agli eretici” (Ibtaar Al-Moulhideen).



”L’eretico” a chi, qualche giorno prima che morisse, gli aveva chiesto se volesse spostarsi in un luogo più sicuro, aveva risposto di no: “Io qui sono l’unico sacerdote del quartiere, sono l’ultimo custode dello Spirito Santo”.

Il sacerdote, in una sua lettera del 13 gennaio 2012, mentre in Europa ci si mobilitava contro il “dittatore Assad” così aveva scritto: “Ci sono molte persone che credono veramente che si possa andare avanti con questo governo. Esso è in grado di portare avanti le riforme ed è più democratico degli eventuali sostituti” — e descrivendo il clima tra la gente, diceva: “La maggior parte dei cittadini siriani non supportano l’opposizione. Pertanto, non si può dire che si tratta di una rivolta popolare”. 



Come padre Frans, la Chiesa siriana ha sempre indicato come unica via quella della riconciliazione e della pace ma con altrettanta fermezza ha sempre denunciato il conflitto in corso come una guerra per procura alimentata dall’esterno. 

Ma mentre la Chiesa siriana esortava al dialogo e non accendere ulteriormente il conflitto, la comunità internazionale riconosceva l’opposizione armata come “l’unico legittimo rappresentante del popolo siriano”. Erano gli anni in cui le forze insurruzionali vantavano al loro effettivo 250mila mercenari stranieri provenienti da 87 diversi paesi (Centro studi dell’Intelligence Analyst Certified di Washington). 



Il resto è cronaca; come questi “rappresentanti del popolo siriano” hanno deciso di portare la democrazia lo descrive l’inchiesta del New York Times del 2013: il rapporto svela come la Cia avesse “condotto dal 2013 contro il regime di Al-Assad una delle sue più grandi operazioni clandestine”, l’operazone “Timeber Sycamore” il cui finanziamento annuale si avvicina al miliardo di dollari. Si tratta di un intervento segreto che si iscrive in un più “vasto sforzo di diversi miliardi di dollari implicanti l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia”, ossia i tre stati che notoriamente sostengono le fazioni estremiste in Siria”Queste circostanze sono state confermate pochi giorni fa sul Financial Times dall’ex primo ministro qatariota Bin-Jaber al-Thani. Sullo stesso Financial Times già nel 2013 è stato pubblicato un altro articolo con con contenuti analoghi e con un titolo altrettanto chiaro “How Qatar seized control of the Syrian revolution” (“Come il Qatar ha preso il controllo della rivoluzione siriana”). 

La connivenza dell’occidente con le forze insurrezionali non si è limitata solo al supporto alle forze ribelli, ma anche a favorire l’ascesa del califfato di al Baghdadi: un rapporto del 2012 della Dia , ora declassificato, descrive come l’occidente, gli stati del Golfo e la Turchia dovevano ”supportare la possibilità di stabilire un dichiarato o non dichiarato principato salafita nell’est della Siria, (Hasaka e Der Zor), allo scopo di far cadere il regime siriano”. Sul fatto che la guerra siriana sia una guerra per procura non mancano le pubbliche ammissioni, come quella di Michael T. Flynn, ex direttore del servizio segreto militare (Dia) del Pentagono.

In definitiva gli ingredienti nel conflitto siriano sono molti: c’è la volontà di esportare il wahabismo da parte dei sauditi, c’è l’eterna dicotonomia sciti-sunniti, ci sono ragioni economiche (la realizzazione di un cruciale gasdotto del Qatar), c’è la contesa per l’egemonia nella regione. 

In questo contesto di guerra asimmetrica, l’Unione Europea ha inserito tra le azioni di supporto alla parte “non identificabile” presente nel conflitto anche le sanzioni economiche. Tale provvedimento, per sua stessa natura, è progettato per infliggere difficoltà economiche alle popolazioni civili. È ovvio che solo il privare la Siria dell’esportazione di petrolio (il commercio del petrolio rappresentava il 90 per cento delle sue entrate), vuol dire il collasso di tutto il suo sistema sociale e sanitario.

Quindi quantunque se ne dica, le sanzioni sono contro il popolo: il paese non deve poter soddisfare le sue esigenze e implodere, se possibile rivoltarsi contro il proprio leader. Gli effetti sono terribili: Aiuto Alla Chiesa che Soffre a gennaio ha stimato che i morti per cause connesse a motivi sanitari o per mancanza dei beni primari ammontano a 350mila, un numero cioè superiore ai 280mila legati a cause connesse alla guerra.

L’embargo fa parte di quella più complessa macchina della guerra che da subito ha preso di mira il sistema produttivo del paese: un utile promemoria di quest’altro tipo di guerra che mira al collasso economico sono le migliaia di fabbriche esistenti ad Aleppo che sono state letteralmente smantellate dai ribelli nelle prime fasi della rivolta e subito rivendute alla Turchia (su questi fatti sono depositate denunce a Strasburgo e L’Aja). 

Il 15 maggio 2016, nell’imminenza del rinnovo delle sanzioni, numerosi religiosi (tra cui il vescovo di Aleppo Abou Khazen e padre Pizzaballa) hanno fatto un appello pubblico perché il provvedimento delle sanzioni non fosse ripetuto: bastava infatti un solo voto negativo di un paese membro perché le sanzioni non fossero rinnovate. L’appello è stato sostenuto da un comitato “bipartisan” di cittadini italiani sotto forma di una petizione on-line. Dal lato politico, alla sollecitazione hanno risposto M5s e la Lega che hanno presentato due distinte mozioni nel senso auspicato. 

Purtroppo, il 27 di maggio, nonostante tutti gli sforzi fatti per cercare di aprire un più ampio dibattito sul tema, le sanzioni sono state rinnovate. Tale decisione è stata presa nella modalità che sembra ormai diventata consueta: senza dibattito, alla stregua di un atto formale. Addirittura si sta verificando la possibilità che la decisione sia stata presa e comunicata, dagli stati membri a livello centrale, via mail. 

Merita menzione un ultimo episodio che getta un’ulteriore preoccupante ombra sull’autonomia della Ue: il sospetto è che la delibera sulle sanzioni abbia “aspettato” le direttive dei “grandi” riuniti al G7. Per singolare sincronismo, le sanzioni sono state rinnovate subito dopo la dichiarazione finale congiunta contente parole inequivocabili circa gli orientamenti da prendere sulla Siria: per la Ue solo un atto di recepimento, quasi un atto di segreteria.