Caro direttore,
“la Germania non è responsabile del pasticcio (europeo) attuale, lo è invece la questione tedesca, ma questa è cosa ben diversa” (Brendan Simms, Benjamin Zeeb, Europa am Abgrund (“Europa ad un passo dall’abisso”), Monaco di Baviera, 2016. Non voglio commentare gli ultimissimi avvenimenti in cui è coinvolta la Germania: il viaggio della cancelliera nei campi profughi nel sud della Turchia, il senso di un accordo con la Turchia di Erdogan, il recente incontro di Angela Merkel con Barack Obama ad Hannover, in cui era in gioco in primo luogo l’accordo Ttip sul libero scambio, che implica problemi sociali, politici ed ecologici notevoli. Né questa lettera vuole essere una difesa a priori della Germania, della sua cancelliera o del suo ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Sono cosciente che per tanti dettagli di ciò che accade in Germania ed in Europa non ho neppure la competenza per giudicare in modo ragionevole e sensato. Mi preoccupa però una certo “complesso antitedesco” che percepisco nei media e nei social media e vorrei cercare di dare un risposta sul cosa implichi la “questione tedesca”, tenendo conto di un consiglio importante di Hannah Arendt, secondo il quale per un giudizio su problemi che implicano una conoscenza da esperti sia necessario al non esperto la conoscenza delle posizioni alternative, per fidarsi in fine della propria intuizione su ciò che sia ragionevole sostenere.
La proposta che fanno i due autori citati è questa: solo gli Stati Uniti d’Europa sarebbero in grado di integrare il potenziale tedesco a favore di tutte le altre nazioni europee. L’unione monetaria, senza un’unione politica e militare, senza insomma un parlamento europeo democratico e capace di agire e prendere decisioni su questioni economiche e militari non può che portare ad un supremazia della forza economica della Germania su gli altri paesi. Ciò però non significa che vi sia un tentativo egemonico tedesco di imporre la propria supremazia in Europa o che a Merkel e Schäuble sia riuscito ciò che l’imperatore tedesco Guglielmo II e più tardi Hitler avevano tentato inutilmente.
Non è neppure vera l’immagine di una Angela Merkel, nuovo Macchiavelli, con la meta di “germanizzare” l’Europa, come ha detto Ulrich Beck, sociologo tedesco appena scomparso. “La Germania non opprime né i greci né altri paesi in Europa. Nessuno ha costretto questi stati, dapprima completamente sovrani, ad entrare nell’unione monetaria, né con la forza delle armi né in un altro modo” (Simms, Zeeb). Vero piuttosto è che c’è una “questione tedesca” che deve essere risolta, senza rimproverarsi a vicenda di essere la causa della sciagura degli altri, come si è espresso Wolgang Schäuble in una recente intervista prima del suo viaggio a Shanghai per l’incontro del G20. Questa questione tedesca può essere così descritta: “il progetto europeo nella sua costruzione attuale, in modo particolare l’unione monetaria, che aveva come scopo originario quello di arginare il potere tedesco, lo ha al contrario rafforzato (…); la Germania non ha per questo più colpe che le altre nazioni in Europa” (Simms, Zeeb).
La soluzione del professore irlandese dell’Università di Cambridge Simms e del pubblicista Zeeb è secondo me utopica e forse neppure, nella variante del modello anglo-americano da loro proposto, desiderabile. Un’unione politica e militare che si concepisca in modo programmatico, per quanto riguarda la dimensione militare, in contrasto alla Russia di Vladimir Putin mi sembra molto avventata e pericolosa. L’impegno di mediazione politica offerto dalla Germania di Merkel nella crisi dell’Ucraina nel maggio del 2015 non era per nulla un atto di ritirata di fronte al potere russo, ma un ragionevole gesto diplomatico, senza per questo aver rinunciato ad esprimere il proprio parere.
Non ho nessuna soluzione alla “questione tedesca” nel cassetto delle mie opinioni, ma so che un’isolamento della Germania, voluta da lei stessa o proiettata da altri su di lei, non può che portare ad effetti catastrofici. Da quanto posso giudicare la politica finanziaria proposta da Schäuble e che si può riassumere con il motto “Der Weg des zu leichten Geldes führt am Ende ins Unglück” (“la via del denaro troppo leggero porta alla fine miseria”), è frutto di una certa perizia, quella di un ministro delle Finanze capace ed intelligente. Ovviamente secondo il metodo di Hannah Arendt è necessario sentire anche l’opinione contraria, quella dei molti economisti ed esperti che ritengono che sia necessario superare i criteri di una politica dell’austerità, che corrisponde forse più all’anima tedesca che a quella di altre nazioni. Bisognerà trovare il modo di proporre la propria posizione, anche quella mediterranea e del sud dell’Europa, senza per questo accusare la Germania di voler distruggere altri paesi, perché questa intenzione non è senz’altro vera. Sebbene sia certamente necessario esprimere l’identità della propria anima, anche per esempio pensando alla propria forza filosofica (Grecia) o artistica (Italia) senza complessi di inferiorità, non bisognerà farlo costruendo la propria posizioni contro qualcun altro, considerato l’altro come il capro espiatorio di tutti i problemi esistenti. Quando solo l’altro è visto come il problema di una certa situazione che si è creata non si costruisce più insieme, ma per l’appunto l’uno contro l’altro: questo non può che portare ad una rottura incontrollabile, insomma non ad una costruzione, ma ad una distruzione.
Credo che tutti, sia nel centro o nord dell’Europa sia nel sud dell’Europa, farebbero bene a meditare su questa semplice verità. E questo implica anche, per la politica europea, che una volta che si è fatto un patto su un certo tema, valga per tutti — se non vogliamo che l’Europa cada davvero nell’abisso di un “egoismo collettivo” — che “pacta sunt servanda”.