“Davutoglu si è dovuto dimettere perché Erdogan sentiva che stava diventando troppo popolare, e non accettava che alla guida del partito ci fosse un’altra persona insieme a lui”. E’ la chiave di lettura di Ammar Waqqaf, attivista siriano residente a Londra e direttore di Gnosos, un’organizzazione che fornisce informazioni su Siria e Medio Oriente a media e istituzioni. Ieri Ahmet Davutoglu, primo ministro turco e presidente di AKP, si è dimesso da tutte le cariche, spiegando la scelta con un disaccordo tra lui e il presidente della Repubblica, Erdogan. Davutoglu ha spiegato che il partito terrà un congresso straordinario il 22 maggio per eleggere il suo successore, e che personalmente non si ricandiderà.



Da dove nasce lo scontro tra Erdogan e Davutoglu che ha portato il premier alle dimissioni?

Erdogan è convinto che ci debba essere un’unica guida nel partito, non due. Davutoglu negli ultimi tempi stava ricevendo maggiore attenzione di quanto Erdogan ritenesse opportuno, e questo rischiava di indebolire la posizione dell’AKP. Erdogan ritiene di avere il massimo sostegno da parte del pubblico, e che ciò sia la chiave del successo dell’AKP. Teme cioè che qualora iniziasse a svilupparsi una competizione interna al partito, gli elettori finirebbero per voltare le spalle alla sua figura e allo stesso AKP.



Quali sono in questo momento le ambizioni di Erdogan?

Il presidente della Repubblica ritiene che non sia ancora arrivato il momento per ritirarsi dalla politica, ma sente di poter cambiare la struttura fondamentale della politica in Turchia in una direzione più presidenziale. La personalità di Davutoglu è vista quindi come una minaccia alla sua ambizione, e questo li ha portati a entrare in disaccordo.

Davutoglu è il padre del neo-ottomanesimo. Erdogan sta prendendo le distanze anche da questa teoria?

Niente affatto. Davutoglu ha creato i concetti su cui si basa il neo-ottomanesimo, ma questi sono condivisi da tutti i membri dell’AKP. Non c’è nulla quindi che possa fare pensare al fatto che Erdogan se ne discosterà. Lo stesso Davutoglu giovedì nel corso della conferenza stampa in cui ha annunciato le sue dimissioni, ha espresso l’idea che l’AKP è un partito per la Turchia, per il Medio Oriente e per l’intera umanità. Sta quindi chiaramente pensando che i valori dell’AKP possano essere esportati nell’intera Regione.



Dopo le dimissioni di Davutoglu, la politica estera della Turchia subirà un cambio di direzione?

No. Davutoglu non è l’“ingegnere” che ha progettato la linea politica della Turchia nei confronti della Siria. L’AKP ha espresso simpatia nei confronti di numerosi gruppi in Medio Oriente, quali i Fratelli musulmani in Egitto e in Siria, con i quali condivide determinati valori. Gli elettori turchi ritengono che questi valori siano così validi e moderni, da poter essere sviluppati anche in altri Paesi. Questo è il cuore della politica dell’AKP, cui Davutoglu ha contribuito a dare forma, ma della quale non è il campione.

 

Il fatto che Erdogan non accetti di condividere il potere nemmeno con Davutoglu conferma il fatto che è un dittatore?

Questo è un modo occidentale di comprendere le cose. Certo dal punto di vista democratico Erdogan è un dittatore, ma questo è il modo in cui la politica si esplica in Medio Oriente. Erdogan fondamentalmente è la persona che ha il controllo sulle ambizioni, speranze e ambizioni del pubblico turco.

 

Quali sono le conseguenze di questo fatto?

Questo fa sì che la sua persona sia unica dal punto di vista della legittimazione, e che chiunque altro sia a sua volta legittimato da lui. Nonostante in Turchia ci sia un sistema semi-democratico, con parlamentari eletti direttamente dalla gente, la politica in Medio Oriente è sempre molto personalistica. La politica nella regione dipende cioè sempre dal carisma personale del capo. Se quindi Obama o la Merkel incontrano Davutoglu, cercando di bypassare Erdogan, dal punto di vista di quest’ultimo non stanno realmente trattando con il primo ministro turco ma stanno cercando di minare la legittimazione dell’AKP.

 

In che senso questa non sarebbe una dittatura?

Tutto ciò in Occidente è chiamata una dittatura, e in un certo senso lo è realmente. Ma tutto ciò è anche democratico, perché la gente ha la possibilità di scegliere chi è il capo che comanda sulle loro aspirazioni. Il leader possiede cioè il rispetto della popolazione. Non è quindi una dittatura totale, ma una sorta di “dittatura democratica”.

 

(Pietro Vernizzi)