“L’attentato di Tel Aviv va totalmente condannato sul piano umano, mentre sul piano politico rischia di danneggiare proprio la causa palestinese che chi lo ha organizzato diceva di voler difendere”. Lo afferma Wael Mustafa Abu Hassan, palestinese e professore di Scienze politiche all’Arab American University di Jenin, in Cisgiordania. Mercoledì sera due uomini, identificati come palestinesi, hanno aperto il fuoco nel Sarona Market di Tel Aviv, un centro commerciale nelle vicinanze del ministero della Difesa israeliano, provocando quattro vittime e numerosi feriti.
Professor Abu Hassan, come commenta questo ennesimo attentato?
L’attentato è stato messo in atto da Khaled Makhamrah e Mohamad Makhamrah. Di fatto questi episodi si stanno ripetendo da lungo tempo, è una lunga storia che va contestualizzata nel conflitto israeliano-palestinese. Azioni di questo tipo vanno condannate, a prescindere dal fatto che a compierle siano i palestinesi o gli israeliani. Le ritengo inaccettabili, soprattutto se prendono di mira i civili o gli ambienti in cui questi si trovano.
Hamas ha definito l’attentato un’”operazione eroica”. Come si giustifica questa presa di posizione da parte di chi vuole rappresentare il popolo palestinese?
Hamas incoraggia a compiere questi attentati, giustificando questa posizione con il fatto che tutti gli israeliani, inclusi i civili, sono tutti dei militari. Il partito palestinese è giunto a definire quella israeliana come una “società militare”. Hamas ha teorizzato tutto ciò da diversi anni, in quanto ai suoi occhi questi sono attentati in risposta all’occupazione e ad analoghi attentati compiuti da parte degli israeliani.
Lei come valuta la posizione di Hamas?
Non la condivido affatto. Soprattutto quando si verificano in contesti dove si trovano i civili, ritengo che questi attentati non meritino di essere definiti come “resistenza”. Inoltre queste azioni non fanno altro che complicare la situazione politica, perché alienano ai palestinesi il sostegno della comunità internazionale.
Qualcuno ha voluto bloccare il processo di pace iniziato qualche giorno fa con i colloqui di Parigi?
E’ possibile. Nell’arena politica palestinese ci sono dei conflitti interni e manca qualsiasi unità. Tra i palestinesi ci sono svariati modi di vedere le questioni politiche, e questo attentato non giova certo alla causa del mio popolo. Nel Medio Oriente in questo momento la situazione è estremamente complicata, e servono sforzi seri per portare la pace nell’intera regione. Questi attentati rischiano di bloccare sul nascere qualsiasi iniziativa politica, sia che si tratti del vertice di Parigi, sia che si tratti delle proposte russe o di qualsiasi altra potenza mondiale.
Che cosa c’è nella mente di chi ha organizzato questo attentato?
C’è soprattutto un grande sentimento di disperazione. Chi ha sparato su dei civili inermi sono degli studenti universitari. E’ questo il fatto che dovremmo capire meglio. Anche se si laureano con il massimo dei voti, i giovani palestinesi difficilmente trovano un lavoro. In Palestina il mercato del lavoro, come pure la situazione economica, sociale e politica sono estremamente complicate. Molti sentono di non poter avere una loro vita, e non vedono la loro vita in modo positivo.
Di chi è la responsabilità politica della violenza crescente tra palestinesi e israeliani?
La responsabilità di quanto sta avvenendo è dei politici israeliani, e in particolare dell’occupazione, perché i leader politici palestinesi sono totalmente impotenti. Quando organizzano questi attentati, i giovani palestinesi esprimono la loro disperazione, la loro frustrazione e la loro rabbia. Il messaggio che mandano, a livello conscio o inconscio, è che in questa terra da ormai molti anni sta avvenendo qualcosa di profondamente sbagliato.
In Palestina è in atto anche un’infiltrazione da parte dell’Isis?
E’ possibile. Se confrontiamo la situazione in Palestina con quella in Siria o in Iraq, la mancanza di pace e sicurezza spinge chi è disperato e frustrato a lasciarsi coinvolgere in attività che danno vita a un grande stato di confusione e agitazione, come appunto quello messo in atto dall’Isis.
(Pietro Vernizzi)