La maggior parte delle discussioni sul Brexit si sono concentrate sugli aspetti economici, con valutazioni catastrofiche da parte dei sostenitori del Remain e, ovviamente, opposte per i fautori del Leave. Tuttavia, il tono tra questi ultimi si è dimostrato più prudente: se per il partito Remain l’uscita dall’Ue viene ritenuta disastrosa, nel campo Leave il tono sembra piuttosto quello del “siamo britannici e comunque ce la faremo”.
Molta attenzione è stata data, giustamente, anche agli aspetti più prettamente politici, con ampie citazioni del noto nazionalismo, o isolazionismo, inglese e sull’avversione verso l’Unione Europea considerata un carrozzone inefficiente quanto invasivo e poco democratico. Non a caso, e non solo nel Regno Unito, si è creato un certo consenso sul fatto che il referendum del 23 giugno, qualunque ne sia il risultato, costringerà l’Ue ad una riflessione su se stessa. In questo senso si è espresso perfino un “falco” come il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble.
Minore attenzione è stata invece data alla situazione interna politica in UK, dove i due maggiori partiti sono divisi al loro interno e in particolare il partito conservatore è decisamente spaccato. Il primo ministro David Cameron è in decisa difficoltà, in parte per la questione “morale” che ha coinvolto la sua famiglia nella vicenda Panama Papers, ma soprattutto per il fatto che il leader del Leave è diventato Boris Johnson, il ben noto ex sindaco di Londra che mira a sostituire Cameron.
E’ pensabile che nel voto i cittadini britannici tengano presenti anche i risvolti di politica interna conseguenti all’esito del referendum che, se favorevole all’uscita dell’Ue, porterà alle dimissioni di Cameron e a una sua difficile successione, dato che “red Boris” (per il colore dei capelli) non è amato da tutti. Non così immediata appare una salita al governo del partito laburista; la sua leadership è schierata anch’essa per il Remain, ma si creerebbe una situazione incerta che aggraverebbe ulteriormente il già difficile periodo di transizione per sciogliere i legami con Bruxelles.
Se vincesse il Remain, la situazione sarebbe più stabile e, pur con problemi sia dentro che fuori il suo partito, Cameron potrebbe avvalersi appieno degli accordi firmati con l’Ue , che finora non sembrano aver giocato un grande ruolo nel dibattito interno. Se, come fortemente temuto a Bruxelles, questi accordi dovessero essere presi a modello per le richieste di altri Stati membri dell’Unione, Cameron diventerebbe l’ispiratore di una revisione, anche profonda, dell’Ue e l’UK la guida della “fronda” a un’Unione dominata dai tecnocrati di Bruxelles e, politicamente, dalla Germania.
Rimane difficile prevedere l’esito di questo referendum, ma gli inglesi sono noti anche per il loro pragmatismo e, al momento del voto, potrebbero decidere che rimanere in una Ue così oggettivamente in difficoltà è la soluzione meno rischiosa e più vantaggiosa alla fine per il Regno Unito. Tanto più se, come sempre più spesso si sente predire, l’Eurozona si spaccasse in due, perché in tal caso un’adesione alla sterlina potrebbe essere vista più favorevole da quei Paesi “condannati” a un euro di serie B.
Vi è poi un altro fattore interno di cui gli elettori dovranno tenere conto, che riguarda la tenuta dello stesso Regno Unito, perché l’atteggiamento verso il referendum è diverso nella vari componenti del Paese. Per quanto paradossale possa sembrare. Lo stesso Brexit che sta ponendo così a rischio l’unità dell’Ue, può risultare molto pericoloso anche per l’unità dell’UK, almeno nelle forme attuali. Il problema principale è dato ancora una volta dagli scozzesi, che secondo i sondaggi sono in maggioranza in favore della permanenza nell’Ue, anche se in questi ultimi tempi sono aumentati i sostenitori dell’uscita. Se il Remain vincesse in Scozia, ma il resto dell’UK votasse per uscire, il Partito Nazionalista Scozzese, che ha avuto il 47% dei voti nelle ultime elezioni, chiederebbe un nuovo referendum sull’indipendenza.
Anche nell’Irlanda del Nord la maggioranza è favorevole a rimanere nell’Unione Europea e sono diffusi i timori di un irrigidimento dei rapporti con l’Irlanda, timori che vengono espressi anche a Dublino. Alcuni osservatori temono anche che l’uscita dall’Ue riproponga una situazione di instabilità nell’Irlanda del Nord, fino a una ripresa dei conflitti interni. Nel Galles i sondaggi danno una situazione di sostanziale parità, ma è la regione che più avrebbe da perdere dalla vittoria del Leave, perché alcune aree gallesi depresse ricevono forti contributi da Bruxelles, che verrebbero ovviamente a cessare.
In conclusione, il Brexit si sta dimostrando un possibile fattore di profonda ridiscussione non solo dell’Unione Europea, ma forse anche dello stesso Regno Unito, dove coesistono quattro “nazioni”, per l’appunto, inglesi, gallesi, scozzesi e nordirlandesi, e gli interessi non sembrano così coincidenti.