Caro direttore,
dire che non ho mai avuto grande fiducia o simpatia per la presente candidata democratica alla presidenza degli Stati Uniti è ormai, purtroppo, cadere in un luogo comune. Ho seguito con particolare attenzione lo strano percorso storico dei candidati statunitensi che ora si avvicina alla sua fine forse tragicomica, scrivendo qualche articolo per questo quotidiano in cui parlavo anche della mia diffidenza verso la Clinton, e altri. Ma ora sto notando qualcosa di potenzialmente molto preoccupante. Qualcosa che avevo già previsto otto anni fa, prima che Hillary perdesse la nomina vinta da Obama. Allora agli illusi e alle illuse, che speravano di vedere la prima donna presidente negli Stati Uniti, rispondevo con uno scetticismo non ben accetto, pensando che questa America anglosassone non fosse pronta per una donna presidentessa e che piuttosto avrebbe preferito scegliere un uomo, di qualunque colore. E così fu.
Qui ora si tratta non di quale movimento o partito sia stato spaccato e di quale crisi politica, sociale o morale si stia verificando nel vasto territorio nordamericano, ma di qualcosa di più insidioso che sembra sfuggire a molti dei più acuti lettori e commentatori. Continuando a leggere i più recenti articoli o a osservare le numerose vignette, come quelle del New Yorker o del New York Times, a me sembra che il mio sospetto di quasi un decennio fa si manifesti oggi con la rinnovata e più forte evidenza di una vera caccia alla strega. C’è una parola fra le tante rivolte contro la Clinton che mi ha colpita e allarmata, una parola che non era mai apparsa prima, quando i candidati erano solo maschi. Si dice di Hillary Clinton che sia donna di grande esperienza politica, pronta a demolire Trump nei dibattiti per la sua cultura e intelligenza; un falco, una “hawk” guardiano dei valori liberali, che sa manovrare la diplomazia dei rapporti internazionali con raffinata abilità, e così via di questo passo. Ma “non ha cuore”, o peggio, non sa toccare il cuore del popolo e neppure quello delle donne!
Ahimè, una donna senza cuore è una donna zombie. Non è nemmeno un animale, perché le creature dei boschi e quelle che abitano le nostre case sono vezzeggiate e amate ormai da tempo, ma una donna no: l’antica maledizione rivolta alle donne libere e forti è ancora viva. Una donna senza cuore, oggi come ieri, è qualcosa di altro, altro dall’essere umano, altro dall’uomo il cui cuore, politicamente, non viene né considerato né messo in questione.
E come direbbe Shakespeare: Ay, there’s the rub… Ecco l’ostacolo o lo scoglio, ma il problema è un altro per questa candidata: è che vuole stare al gioco secondo le regole stabilite e non sa bene come affrontare rivali di una nuova generazione come il socialista Sanders e il miliardario Trump. Manca in lei il coraggioso o l’oltraggioso gesto che la farebbe distinguersi dalla precedente schiera dei politici passati. Perché si vota la personalità negli States e lei non è originale, non rappresenta il nuovo che sembra bramare questo paese approdato ad una crisi d’identità estrema. Con la Clinton vince lo status quo, senza di lei si apre l’abisso, quindi la scelta dell’elettore questo novembre sarà cruciale.