Uno studio del Study Center Post Conflict Operations di Torino ci fornisce una giusta definizione della guerra asimmetrica in corso in Siria: “La guerra asimmetrica non è quella combattuta tra due eserciti regolari appartenenti a due entità statuarie, bensì quella combattuta da forze irregolari con tecniche di guerriglia contro uno stato”. Ma attenzione: non vengono prese di mira solo le forze armate avversarie ma l’intera società civile, le strutture portanti necessarie alla gente per vivere. Sono comprese le fabbriche, gli ospedali, le scuole ed i metodi non prevedono solo il combattimento ma anche le autobombe, i rapimenti, le uccisioni, la pulizia etnica. 



Ma se viene distrutto ogni cosa chi ci guadagna? Per quanto dura, la risposta è semplice: “Nella guerra asimmetrica a guadagnarci sono gli interessi legati allo status di belligeranza (stati stranieri, alcune compagnie trans-nazionali, Ong, private military companies, ecc.) e a perdere sono le popolazioni, poiché devono convivere con una conflittualità permanente, pagandone il prezzo umano e finanziario”. 



Quindi, prima di emanare sanzioni, armare gruppi islamisti per sostenere simili conflitti, la domanda cruciale a cui la comunità internazionale dovrebbe rispondere, è se accetta o meno il ricorso a tale mezzo. 

Altra domanda alla quale dovrebbe rispondere è: cosa chiedono le “opposizioni”? La natura ideologica della stragrande maggioranza dell’opposizione armata, consentirebbe un miglioramento dello stato in senso più laico e democratico? La risposta è no. Allora, detta con una metafora: i media ed i leader politici ci continuano ad indicare l’albero e non la foresta.  



Intanto, mentre il futuro è incerto, c’è chi non ha mai perso la speranza e non si è fatto mai fatto preclusioni di sorta di dialogare con chiunque per la pace: il Patriarca Ignace Youssif  si è recato a capo di una delegazione siro-cattolica dal presidente Assad a Damasco. In tale occasione il presidente siriano ha esposto un progetto di riforma costituzionale che prevede la rimozione del riferimento alla sharia come fonte principale della legislazione. Inoltre, la massima carica dello stato potrà essere coperta anche dai non musulmani. In definitiva, l’impianto dello stato dovrà essere pienamente laico: tutto questo potrà sembrare strumentale ma ciò non compromette la positività di una iniziativa che non ha paragoni in medio oriente.

Ovviamente la notizia è passata in sordina, ripresa solo dall’agenzia Fides. Nella settimana appena passata i media sono stati avari di notizie sulla Siria, eccetto la riproposizione di un intervento militare “risolutore” degli Stati Uniti contro Assad. Il segretario di Stato Kerry ha fatto sapere che la pazienza degli Stati Uniti nei confronti della Russia ha un limite: “La Russia ha bisogno di capire che la nostra pazienza non è infinita” ha detto Kerry, e aggiungendo che “in realtà è molto limitata”. Si riferiva al mancato rispetto del cessate il fuoco ad Aleppo. 

In realtà il cessate il fuoco iniziato il 27 febbraio scorso è stata una mossa coraggiosa. Sicuramente è stata l’occasione di una grossa spaccatura tra i russi e gli iraniani, contrari alla tregua. Gli iraniani (dopo i consistenti successi ottenuti fino a febbraio, culminati con il declino dei gruppi armati e la distruzione di oltre il 80% dei depositi di armi, in particolare nella campagna a nord di Aleppo) volevano optare per una soluzione esclusivamente militare, mentre per i russi il negoziato è inevitabile. Tale divergenza ha causato ad aprile una tremenda sconfitta nella località strategica di Khan Tuman. Gli iraniani durante l’attacco delle forze islamiste di al Fatah hanno avuto grosse perdite, ciononostante i russi hanno rifiutato la copertura aerea. 

La frattura tra Teheran e Mosca si è ricomposta solo da poco ma i progressi sul terreno tornano già a farsi vedere. Ovviamente è la situazione sul campo di battaglia e non i morti il pretesto per la ritrovata aggressività occidentale: dopo le minacce di Kerry, 51 alti funzionari del Dipartimento di Stato Usa hanno scritto una lettera al presidente Obama perché ordini “un’azione militare “credibile” contro il regime di Assad il che significa bombardamenti. Da Copenaghen, Kerry ha fatto sapere che il documento  è da prendere sul serio e lo “rispetta”. Per tutta risposta Mosca ha ordinato una tregua unilaterale di 48 ore nel fronte più caldo, Aleppo. E’ qui che i ribelli, la maggior parte appartenenti al gruppo terrorista al Nusra (propaggine di al Qaeda), bombarda quotidianamente le aeree residenziali in maniera indiscriminata (le denunce dei religiosi sono pressoché quotidiane).

L’Italia intanto dà il suo singolare contributo alla distensione: è in corso il dispiegamento dei missili terra-aria SAMP/T sul confine turco-siriano. Lo scopo è di proteggere Ankara dagli aerei russi impegnati nella campagna antiterrorismo. Questa decisione, non è passata al vaglio del Parlamento italiano: anch’essa è stata fatta passare come “decisione tecnica”. Evidentemente decisione tecnica non è e le ripercussioni diplomatiche saranno pesanti. 

Infine, arriva un rapporto firmato da 56 ong siriane. E’ stato promosso dall’organizzazione The Syria Campaign, con base a Beirut. Si accusa l’Onu di distribuire i viveri solo nelle aeree governative sottostando ai diktat del governo. Il segretario generale Ban Ki-moon naturalmente ha smentito. I dati sono pubbblici, è un’accusa debole ma tant’è: sembra che con l’Isis in ritirata e la presa di Falluja, il tiro ritorni su Assad. La Ue non discute su missili e sanzioni ma sente il bisogno di incontrare gli emiri sauditi due volte in due mesi. Infatti, dopo il 27 maggio, a Jeddah è stata ribadita l’assoluta consonanza della Ue con le scelte saudite in Siria, Libia, Yemen. I massimi responsabili degli esteri torneranno a vedersi con i i sauditi, il 18 di luglio: “buone pratiche” per buoni amici. Tuttavia falsificare la realtà per preservare le alleanze, non fa nascere né la libertà né la democrazia ma sancisce la morte dei principi stessi. La collettività però esige che le azioni politiche siano etiche.