“Da quasi un anno stiamo assistendo a un progressivo interventismo britannico in Libia, che fa il paio con la progressiva ritirata dell’Italia. In questo modo i nostri ‘alleati-concorrenti’, Regno Unito e Francia, stanno scalzando la tradizionale posizione egemone del nostro Paese a discapito dei nostri interessi strategici nello Stato nordafricano”. Lo rimarca Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale. Lunedì il ministero della Difesa britannico ha annunciato che invierà il suo personale militare ad addestrare la Guardia costiera libica nella lotta contro il traffico di armi. Londra inoltre manderà un’altra nave da guerra nel Mediterraneo, sempre con lo stesso obiettivo.



La novità annunciata dalla Gran Bretagna può aiutare a stabilizzare la Libia?

Il problema di fondo in Libia resta sempre lo stesso: manca uno Stato unitario. In questo momento abbiamo tre governi, e quindi quelli annunciati da Londra sono tutti palliativi: una nave in più sicuramente non cambia la situazione. Il dispositivo “Mare Sicuro”, che si occupa anche del contrabbando di armi, può contare infatti già su cinque navi. Non credo che l’arrivo del Regno Unito cambierà le sorti della Libia, neanche con l’addestramento della Guardia costiera.



Resta il fatto che il Regno Unito aumenta il suo impegno in Libia mentre l’Italia sembra disinteressarsene. Come commenta?

Questo è un elemento ben diverso. Da quasi un anno stiamo assistendo a un progressivo interventismo britannico in Libia, che fa il paio con la progressiva ritirata dell’Italia. Non dimentichiamoci che in questo momento chi sta operando con i gruppi libici che combattono contro lo Stato Islamico sono le forze speciali inglesi, americane e francesi, e i grandi assenti siamo noi italiani. In questo modo rischiamo di essere messi da parte dai nostri “alleati-concorrenti”.



Inviare soldati italiani in Libia ci esporrebbe al rischio di “neo-colonialismo”?

Occorre fare una distinzione. Senz’altro la presenza di soldati occidentali in prima linea può portare l’Isis a muovere delle accuse di neo-colonialismo. Per dare il segnale di una presenza più concreta basta un intervento come quello effettuato dalle forze speciali americane e inglesi, che si limitano a segnalare gli obiettivi, ma lo fanno in modo comunque abbastanza esplicito collaborando con le forze sul terreno contro l’Isis. L’Italia in questo momento non può rivendicare di stare facendo altrettanto.

Quali sono gli interessi strategici di Francia, Regno Unito e Stati Uniti in Libia?

Gli Stati Uniti non hanno nessun interesse strategico in Libia se non quello di contrastare l’espansione dello Stato Islamico. Il Regno Unito ha invece degli interessi più strategici, in quanto da sempre mira allo sfruttamento dei giacimenti di petrolio attraverso British Petroleum. La stessa Francia è ben presente e ha interessi soprattutto in Cirenaica, in concorrenza diretta con l’Italia. Parigi e Roma hanno visioni contrastanti nel senso che la Francia è il principale sostenitore del generale Khalifa Haftar, braccio militare del governo di Tobruk, mentre l’Italia lo sta contrastando.

 

Le divergenze tra Francia e Italia nascono dagli interessi petroliferi o da altri fattori?

Queste divergenze sono legate a interessi petroliferi e strategici. Per quanto riguarda lo sfruttamento del petrolio, il nostro Paese ha avuto da sempre una presenza egemone in Libia e Parigi ambisce a prendere il nostro posto, come si è visto già nel 2011. Dal punto di vista strategico la Francia sta cercando di occupare il nostro posto al fianco dell’Egitto.

 

In che modo?

La Francia appoggia il generale Haftar, che è un alleato del presidente egiziano Abdelfattah Al-Sisi, mentre l’Italia si è schierata apertamente con il governo di unità nazionale scelto dalle Nazioni Unite. Gli interessi della Francia in Libia riguardano inoltre soprattutto il controllo delle frontiere con Niger e Mali. Parigi quindi è più chiaramente interessata a tutto ciò che si muove nella parte meridionale dell’Africa e non solo nel Nord.

 

(Pietro Vernizzi)