NEW YORK — Caro direttore, siccome vivo qua da oltre 22 anni posso confermare ciò che ha scritto Giorgio Vittadini nel suo ultimo editoriale, e sentirmi legittimato a farlo. Sono tutte cose che raccolgo e racconto da tempo. 

Yes, è vero: l’economia ristagna; nuovi posti di lavoro non se ne creano; le retribuzioni languono mentre i costi di assicurazione sanitaria ed istruzione hanno raggiunto livelli improponibili; sulle nostre guerre in giro per il mondo, inutili ed anzi dannose, i media hanno steso un pietoso velo di silenzio all’insegna del più becero “occhio non vede, cuore non duole”; con la questione razziale siamo tornati a livelli pre-Martin Luther King; più il paese si impoverisce, più Wall Street si rianima, sguazzando nella sua ricchezza (virtuale per i più, reale per pochi eletti); la campagna presidenziale sta trascinando la politica nazionale ai livelli più bassi di sempre, generando fastidio, insofferenza, intolleranza e grande preoccupazione. E come “icing on the cake“, come ciliegina sulla torta, se continuiamo a litigare su che bagno usare undici Stati quasi quasi fanno la secessione. Ma che ne è stato dell’American Dream? Dov’è finito? 



Del sogno americano potremmo parlare all’infinito. Se ne parla da quando l’uomo bianco è arrivato dall’Atlantico, e dopo un po’ si è cominciato anche a scriverne. Un famoso storico e pensatore di queste parti, James Truslow Adams, cercando di concettualizzare la pionieristica vitalità di questo paese, nel 1931 ci diceva che “la vita dovrebbe essere più bella, ricca e piena per tutti, con opportunità per ciascuno in base alle proprie abilità e capacità di ottenere risultati, a prescindere da classe sociale e condizioni di nascita”. Questa era l’idea di sogno e questo si cercava.



Per raggiungere ciò Adams ci spiega anche che “ovviamente ci devono essere due forme di educazione: una per imparare a vivere, l’altra per imparare a campare”. Che è come dire che “ovviamente” ci sono due vite da vivere in contemporanea. Che è come essere costruiti avendo in sé un punto critico di frattura che, attaccato, ci spezzerebbe mortalmente. Che è come dire che siamo chiamati ad un rapporto schizofrenico con la realtà. Ma per un po’ questa potenziale schizofrenia è rimasta asintomatica.

Quando arrivai in America, curiosissimo ma anche prevenuto, una delle cose che più mi colpi di più fu la semplicità di cuore ed il respiro di desiderio di questa gente, cose assolutamente inaspettate e sostanzialmente incomprensibili ad un europeo tirato su in un mondo impastato di scetticismo ed ideologia.



Già, l’ideologia. Parola strana? Ne abbiamo parlato più volte, ma se non vi piace la parola, se vi sembra astratta, se vi infastidisce, chiamatela pure preconcetto, partito preso o dominio di un’idea rispetto all’esperienza.

Ecco, l’America di ventidue anni fa mi era apparsa una terra vergine all’ideologia. Non che tutto fosse perfetto — che l’uomo non fosse l’uomo — ma l’attrazione per il di più, la voglia di di più, la fame di di più dominavano ancora la scena, incontrastati protagonisti della vita. 

Quello che è accaduto in questi vent’anni è stato come l’arrivo di un virus in questo organismo cosi giovane e vitale. Un organismo impreparato, privo di anticorpi (storia, tradizione, radici insomma) capaci di fronteggiare l’invasore. Vent’anni sono pochi, ma oggi tutto corre in fretta e vent’anni sono come secoli. Quale virus? L’ideologia. Com’è arrivato? L’abbiamo trovato quando, non sapendo più quale nuova frontiera attaccare, abbiamo cominciato a spingere la nostra ricerca al di là di ciò che l’uomo può fare: definirsi da sé, autodeterminarsi. E’ lì che abbiamo cominciato a pascolare perdendo il bandolo della matassa del senso della nostra ricerca della felicità. Lì si è immiserito il nostro desiderio di infinito. 

Otto anni di amministrazione Obama, con poche battaglie centrate sul cuore dell’uomo e troppe sulla sua pretesa di dominare la vita hanno regalato strada da correre all’ideologia. E l’ideologia i sogni li uccide.

Smarrita la via, affamati di sogno, sembriamo disposti a svendere la nostra giovane storia ed i nostri vecchi ideali per un po’ di Stato sociale alla Sanders o una folle mano di poker alla Trump.

E’ la fine del sogno? Una pianta giovane si sradica facilmente, ma può anche riattecchire se trova terreno fertile. Bisogna crederci, e soprattutto bisogna lavorare la terra.

God Bless America!