“Stati Uniti e Russia stanno facendo a gara per arrivare prima a Raqqa, gli uni attraverso i miliziani curdi e gli altri attraverso l’esercito di Assad. Una volta finita la guerra saranno le grandi potenze straniere a spartirsi le spoglie di quel che resta della Siria”. A spiegarlo è Camille Eid, intellettuale libanese residente in Italia e giornalista di Avvenire. Lunedì il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, ha annunciato che Mosca fornirà il supporto aereo più attivo alle truppe siriane di terra all’interno e nelle vicinanze della città di Aleppo. E ha aggiunto Lavrov, riferendosi agli Stati Uniti: “Ci aspettiamo che i nostri partner cooperino con noi onestamente e non cerchino di utilizzare i nostri contatti per fare partire un piano B, C o D alle nostre spalle”.



Assad ha una strategia di medio-lungo termine o sta cercando soltanto di sopravvivere?

L’ambizione di Assad è riconquistare il controllo dell’intera Siria, o quantomeno di quella che ha definito “la Siria utile”. Con questo termine ha definito la parte maggiormente abitata, mentre le aree meno abitate sono sotto il controllo dell’Isis o dei ribelli. Assad vuole piuttosto trarre il massimo vantaggio dai piani di Russia e Iran, che sono i suoi due principali alleati. Il presidente siriano cerca di adeguarsi per non entrare in conflitto con loro.



Lei come legge l’annuncio di Lavrov sul rafforzamento del supporto aereo ad Assad?

La dichiarazione del ministro Lavrov, secondo cui i russi hanno deciso di intensificare i loro raid, mi sembra più che altro un fatto di immagine. I ribelli a nord di Aleppo mantengono posizioni molto ridotte rispetto a qualche mese fa.  Stanno infatti perdendo quella parte di territorio che controllavano tra il Cantone Afrin e il resto del Kurdistan siriano. In questo nuovo scenario i ribelli moderati hanno smesso di giocare un ruolo.

Qual è in questo momento la scommessa degli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti non stanno più scommettendo sulla presenza dei ribelli, quanto piuttosto sui curdi e sullo schieramento che passa sotto il nome di Forze Democratiche della Siria. All’intero di quest’ultimo l’elemento curdo rappresenta più dell’80% degli effettivi con 25mila soldati su 30mila.



Russia e Stati Uniti hanno piani tra loro compatibili o contrastanti?

Tra russi e americani c’è nello stesso tempo una collaborazione e una competizione per raggiungere lo stesso obiettivo, cioè spazzare via la presenza dell’Isis da Raqqa. E’ come se Usa e Russia si fossero dati appuntamento a Deir-E-Zor prima e a Raqqa poi. In questo modo si punta a tagliare le linee di comunicazione tra Raqqa e Mosul. La collaborazione tra russi e americani più sottendere nello stesso tempo una gara per chi può riuscire a ritagliarsi i territori maggiori, prima di rendere pubblico il compromesso raggiunto tra Kerry e Lavrov.

I tentativi di riconciliazione tra governativi e ribelli moderati stanno riuscendo con successo?

Un paio di anni fa il ministro siriano per la Riconciliazione nazionale, Ali Haidar, aveva cercato di creare un ambiente favorevole per una pacificazione tra le varie fazioni. Nel frattempo però la situazione si è totalmente deteriorata. I compromessi o le tregue stipulate sono un segno del fatto che la gente è stanca della guerra e ha raggiunto un tale livello di miseria che non ce la fa più ad andare avanti.

 

Quindi la tregua nasce più che altro da un’impossibilità a proseguire il conflitto?

Sì. La tregua non deriva da un desiderio di riconciliazione, quanto da una resa di fronte al fatto compiuto che nessun siriano potrà mai dirsi vincitore. Anzi tutti i siriani sono sconfitti, e quindi tanto vale fermare questa guerra il più presto possibile. Tutti si rendono conto infatti che saranno soprattutto le potenze straniere a dividersi le spoglie di questa Siria, in cui metà della popolazione è sfollata o rifugiata in altri Paesi. A beneficiare dei frutti della pace non saranno infatti i siriani, bensì gli altri Stati che stanno giocando sulla pelle dei siriani. Ben venga quindi questa tregua, che non nasce però da una convinzione in quanto là dove possono i gruppi di opposizione e il regime si combattono.

 

(Pietro Vernizzi)