Hillary Clinton ha conquistato la nomina come candidata democratica dopo avere vinto le Primarie del supermartedì in quattro Stati su sei. A fare la parte del portato a casa il 55,8% dei voti contro il 43,2% di Bernie Sanders. In questo momento la Clinton può contare in totale su 2.755 delegati contro i 1.852 del rivale, e si deve ancora votare soltanto nello Stato di Washington DC il 14 giugno prossimo. Ne abbiamo parlato con Massimo Gaggi, inviato del Corriere della Sera da New York.
Come valuta la vittoria della Clinton in California?
E’ il risultato che ci aspettavamo da molto tempo. E’ arrivato nel momento in cui la Clinton aveva già con certezza la maggioranza dei superdelegati. E’ però un risultato importante, perché toglie a Sanders le ultime possibilità in realtà teoriche, che gli servivano soltanto per avere la giustificazione psicologica di continuare a restare in gara.
Che cosa sarebbe avvenuto se Sanders avesse vinto in California?
Una sconfitta della Clinton in uno Stato importante come la California avrebbe portato l’ex segretario di Stato a essere delegittimato, e questo avrebbe consentito a Sanders di andare al Congresso con l’obiettivo di portare dalla sua il maggior numero di superdelegati. A questo punto Sanders non avrà più neanche quest’arma, e quindi è evidente che dovrà andare alla Casa Bianca per discutere con Obama e dovrà cambiare necessariamente rotta. Sta già licenziando metà della sua squadra elettorale e a questo punto negozierà con la Clinton i termini di un cambiamento di atteggiamento in questa campagna.
Lei come vede i punti deboli della Clinton, come lo scandalo delle e-mail e i potenziali conflitti di interesse sui finanziatori?
Durante le Primarie l’hanno già indebolita a sufficienza, in quanto Sanders partiva dal 3% e a un certo punto della campagna era arrivato ad avere un numero di delegati quasi pari a quello della Clinton. Adesso inizia la battaglia contro Trump, che in quanto a scheletri nell’armadio ne ha forse anche di più.
Che cosa deve temere di più la Clinton?
Per la Clinton pesa l’immagine logorata di una persona che è stata sul palcoscenico del potere per 25 anni. In un sistema dove i politici di lungo corso hanno grandi difficoltà, e in cui prevalgono rinnovatori e rottamatori ed emergono nuovi populismi, alla Clinton non giova certo di essere sotto ai riflettori dal 1992. La Clinton ha inoltre un’immagine di persona attaccata al denaro ed è poco considerata dai leader dei Paesi ritenuti come gli alleati più affidabili degli Stati Uniti.
Tutto ciò quali conseguenze può avere?
Tutto ciò allontanerà gli elettori più giovani e più ideologizzati. Quella parte dei Democratici che in campagna elettorale avevano espresso in modo più duro la loro contrarietà alla Clinton, difficilmente ora correranno in massa a votare per lei anche se Sanders cambiasse orientamento. La Clinton d’altra parte è molto aiutata dal fatto che Trump, con una serie di prese di posizione radicali e dal sapore un po’ razzista, finirà per spostare una parte dell’elettorato centrista e indipendente verso i Democratici.
E’ possibile che una parte degli elettori di Sanders finisca per votare per Trump?
Tanto Trump quanto Sanders sono espressione di un forte desiderio di novità. Lo stesso Trump, pur non essendo socialista, su alcune questioni come gli investimenti pubblici e il ruolo dello Stato in economia ha posizioni diverse da quelle del Partito repubblicano e che raccoglie alcuni elementi del populismo economico di cui Sanders è espressione. Trump farà quindi un tentativo di portare dalla sua una parte di quanti avevano votato per Sanders, e in qualche Stato probabilmente ci riuscirà anche. Il problema sarà vedere dove questo avverrà, perché le elezioni americane si giocano in dieci-undici Stati, di cui i quattro più grossi sono Ohio, Florida, Virginia e Pennsylvania.
(Pietro Vernizzi)