“Boris Johnson è stato accoltellato alle spalle da Michael Gove, sostenitore come lui del ‘Leave’, con il quale lunedì ha consumato una rottura in seguito alla quale ha dovuto rinunciare a candidarsi per la guida dei Conservatori”. Lo sottolinea Austen Ivereigh, scrittore e giornalista inglese, dopo che Boris Johnson, ex sindaco di Londra e uno dei principali sostenitori del “Leave”, ha annunciato che non intende candidarsi per la guida del partito conservatore. I candidati in campo restano cinque: il ministro degli Interni, Theresa May; il ministro della Giustizia, Michael Gove; il ministro del Lavoro e delle Pensioni, Stephen Crabb; il ministro dell’Energia, Andrea Leadsom; l’ex ministro Liam Fox.



Quali sono le vere ragioni dietro la decisione di Johnson di non correre per la guida dei Conservatori?

L’unico dato certo è che lunedì e martedì c’è stata chiaramente una rottura tra Boris Johnson e Michael Gove, che ha provocato un precipitare della fiducia tra i due. Johnson e Gove sono stati i due principali sostenitori del Leave al referendum. Giovedì mattina Gove ha reso nota una dichiarazione nel quale affermava che correrà per la guida dei Conservatori, dopo avere sempre insistito sul fatto che non intendeva candidarsi. Nello stesso tempo Gove ha affermato che Johnson non ha le capacità per fare il leader. Gove quindi ha pugnalato Johnson nella schiena come in un dramma shakespeariano.



Perché questo è bastato per fare sì che Johnson si ritirasse?

Il calcolo di Johnson è stato che senza il sostegno di Gove e con molti parlamentari conservatori determinati a impedirgli di conquistare la leadership non fosse in grado di avere successo. Ha quindi deciso di fare un passo indietro, anche se la sua carriera politica non è finita.

Che cosa accadrà adesso?

Ora si voterà il nuovo leader del partito conservatore, che diventerà automaticamente primo ministro a partire dalla fine di agosto o dall’inizio di settembre.

Theresa May ha sostenuto il Remain al referendum. Ha il profilo politico adatto per gestire una Brexit?



E’ la vera questione, ma in realtà tutto ciò che deve fare in questo momento il partito conservatore è riunificare il Paese. Quindi non è più una questione di Leave contro Remain. Theresa May dovrà chiamare a far parte del suo gabinetto molti prominenti sostenitori del Leave, ma il primo ministro non dovrà necessariamente essere favorevole alla Brexit. Durante la campagna per il referendum, Theresa May ha assunto comunque una posizione abbastanza pacata, e dopo il voto ha detto che non si può tornare indietro.

I Conservatori sono molto divisi. Sono in grado di guidare il Paese?

Le divisioni all’interno dei Conservatori non sono una novità. A maggior ragione non devono sorprendere in quanto ci ritroviamo in uno strano periodo di crisi post-Brexit che ha fatto completamente esplodere la politica. Più che di natura politica, le divisioni sono legate a conflitti tra le singole personalità. In questa fase del resto a essere in discussione non è solo la guida di un partito, bensì dell’intero Paese. Ciò dà vita a rivalità e competizione molto forti tra i campi contrapposti. Il nuovo governo conservatore avrà un compito molto difficile, proprio perché dovrà gestire la Brexit. I conservatori però saranno in grado di formare un nuovo governo, anche perché una delle conseguenze della Brexit è la morte del partito laburista.

 

Quali alternative rimangono ai Conservatori?

I liberal-democratici sono stati quasi completamente distrutti alle ultime elezioni, e si ritrovano con soli otto parlamentari su 650 seggi. Il loro leader, Tim Farron, una figura molto interessante nonché un cristiano evangelico impegnato, ha dichiarato che alle prossime elezioni presenterà una piattaforma per riportare il Regno Unito nell’Unione Europea. Personalmente ritengo che sia una mossa molto intelligente con delle possibilità di successo.

 

Ritiene che questa piattaforma sia attuabile dopo il referendum?

La Brexit si verificherà, ma se alle prossime elezioni i liberal-democratici otterranno molti voti, ciò avrà un impatto sui negoziati con l’Ue. Jean-Claude Juncker ha detto che una volta fuori non ci sono possibilità di rientrare e che l’Ue non intende consentire un compromesso. Di qui a cinque anni però potremmo ritrovarci con un diverso tipo di Unione Europea e di condizione di Stato membro.

 

(Pietro Vernizzi)