Il Sud Sudan ripiomba nella guerra civile a un anno dalla tregua che sembrava avere posto fine alle violenze. Scontri tra le forze armate leali rispettivamente al presidente e al vicepresidente hanno provocato almeno 200 morti da venerdì. I due leader politici, Salva Kiir e Riek Machar, dispongono ciascuno di un esercito personale, come conseguenza dell’accordo di pace dell’agosto scorso. Le truppe avrebbero dovuto avviare operazioni congiunte, che di fatto non sono mai incominciate per una mancanza di fiducia tra entrambe parti. Quindi una nuova esplosione di violenza inaspettata sta facendo ripiombare il Paese nel caos. Ne abbiamo parlato con padre Daniele Moschetti, responsabile del quartier generale dei Comboniani in Sud Sudan.
Padre Moschetti, qual è in questo momento la situazione dove si trova lei?
Mi trovo a Juba, la capitale. Il quartiere generale dei comboniani sorge proprio di fianco al palazzo del presidente della Repubblica, Salva Kiir. Venerdì abbiamo sentito una sparatoria durata un’ora intera e avvenuta proprio nel corso della riunione tra il presidente Salva Kiir e i due vicepresidenti Riek Machar e James Wani Igga. I tre leader stavano discutendo di quanto era avvenuto la sera prima, quando i soldati dell’opposizione si sono fermati a un posto di blocco e hanno ucciso cinque militari dell’esercito regolare.
Come è possibile che una riunione politica si sia trasformata in una carneficina?
Nel palazzo del presidente c’erano le guardie del corpo dei tre leader, mentre nelle strade adiacenti si trovavano centinaia di militari delle due opposte fazioni. All’improvviso, per ragioni ancora da chiarire, è iniziata una sparatoria nel corso della quale sono morti più di 120 soldati. Tutto intorno alla nostra casa è stato un grande caos.
Dopo venerdì ci sono stati altri scontri?
Sì. Riek Machar si è infatti trasferito sulle montagne dove la battaglia è continuata. Stamattina (ieri, ndr) i combattimenti sono ripresi in modo molto potente per almeno un’ora e mezza. Anche adesso mentre parlo sto sentendo numerosi colpi di artiglieria, e il combattimento continua sulle montagne sopra Juba.
La gente sta fuggendo?
In città c’è un fuggi fuggi generale, soprattutto per quanto riguarda gli stranieri che lavorano per ambasciate e ong, ma anche da parte di molti sud sudanesi. L’aeroporto però è bloccato da sabato, e la gente cerca di raggiungere Nimule, al confine con l’Uganda, passando dall’unica strada asfaltata disponibile.
Voi missionari avete paura?
In questo momento abbiamo appena concluso la nostra riunione con una decina di persone, alcune stanziali nella nostra casa e altre di passaggio. Ho lasciato piena libertà a tutti di decidere se rimanere o partire, tenuto conto che ormai qui c’è la guerra civile. Noi comboniani però abbiamo deciso di rimanere qui, anche se non è una cosa semplice tenuto conto che dalle finestre aperte si sentono mitra e cannoni. Anche nel 2013, quando ci trovammo in una situazione analoga, lasciai piena libertà a tutti ma nessuno partì.
Lei come si spiega questa nuova ondata di violenza in Sud Sudan?
I tre leader, Salva Kiir, Riek Machar e Wani Igga hanno diffuso un comunicato stampa nel quale affermano di non sapere che cosa stia succedendo, in quanto non sono loro ad avere programmato l’attacco di venerdì. Ciò è indice del fatto che ci sono altre forze che stanno agendo dietro il presidente e i vicepresidenti, che non sono più nemmeno in grado di controllare i loro soldati: questo è veramente preoccupante.
Chi sono queste forze?
Si tratta dei generali che non hanno mai accettato il compromesso tra Salva Kiir e Riek Machar. Molto spesso i soldati rispondono al loro generale e non invece al presidente della Repubblica. Ci sono quindi dei gruppi impazziti, il cui comportamento si spiega più con la volontà del singolo generale di prendere il potere che non con gli ordini dei leader politici. Di fatto Salva Kiir ha perso il controllo sull’esercito, e ci sono nuove personalità che stanno emergendo.
(Pietro Vernizzi)