Nel giorno in cui Theresa May assumerà ufficialmente l’incarico di primo ministro, David Cameron terrà il suo ultimo discorso da premier ai Commons prima di recarsi dalla regina per le dimissioni. Ieri è cominciato il trasloco dal numero 10 di Downing Street.

La May ha davanti ore di incessante attività per formare il nuovo governo. In serata potrebbe rendere note alcune importanti nomine. Secondo il Telegraph, quasi la metà dei suoi ministri saranno donne.



Si attendono promozioni per Amber Rudd, attuale ministro per l’energia e il cambio climatico, e Justine Greening, ministro dello sviluppo internazionale. Entrambe sono alleate e supporters della May. La Rudd viene indicata come possibile ministro dell’interno.

Ma la May dovrà conciliare le due anime Tory, sostenitori di Brexit e non, con nomine trasversali. Incarichi chiave potrebbero essere assegnati ai Brexiteers che si erano candidati alla leadership ma la cui corsa è stata fermata da un numero insufficiente di voti: Michael Gove, attuale ministro della giustizia, e Liam Fox, ex ministro della difesa.



Un altro Brexiteer, Chris Grayling, manager della campagna della May e sostenitore del fronte Leave, potrebbe ottenere un ruolo importante.

Boris Johnson, ex favorito alla leadership, potrebbe essere nominato presidente dei conservatori al posto di Andrew Feldman, amico di lunga data di Cameron.

Priorità della May, secondo il quotidiano economico Financial Times, sarà nominare un cancelliere che sappia calmare i mercati dopo il voto per la Brexit. Da più parti fanno il nome del ministro degli esteri Philip Hammond. Ma Hammond è un falco in politica fiscale, e questo poco si concilia con l’obiettivo della May di allentare l’austerità imposta da George Osborne. E Andrea Leadsom? Si dice che potrebbe piacere alla City. Dopo il suo ritiro dalla corsa per diventare primo ministro, la May ha lodato il suo agire “con dignità”. Ci sarà una ricompensa per la Leadsom? E’ probabile.



George Osborne è dato perdente. Si dice che sarà una vittima di primo piano del rimpasto.

I Tories hanno dimostrato pragmatismo e organizzazione se si considera che in poco tempo hanno sfornato un primo ministro e un nuovo governo. Rispetto alle lentezze italiane, c’è da imparare.

Tuttavia la May vuole prendersi un pò di tempo prima di invocare l’articolo 50 che dà ufficialmente inizio alla procedura per uscire dall’Unione Europea. E’ nelle sue intenzioni non farlo prima della fine di quest’anno. Ma potrebbero esserci pressioni da parte dell’ala più a destra del partito perchè lo faccia prima possibile.

Per non parlare delle pressioni dagli altri leader europei, anche se la legge è dalla parte della Gran Bretagna che ha diritto a decidere quando dare inizio alla procedura.

La May vorrebbe prima avere ben chiaro quello che la Gran Bretagna intende portare al tavolo dei negoziati.

Philip Hammond, il ministro degli esteri, ha detto che potrebbero volerci quattro anni perchè l’UE trovi l’accordo sui termini dell’uscita della Gran Bretagna. Un futuro trattato tra il Regno Unito e l’UE dovrà essere ratificato da 27 parlamenti nazionali, ha detto Hammond.

Il periodo più breve per l’approvazione di ogni trattato da parte dell’Unione Europea è stato appena sotto i quattro anni. E questo senza tenere conto del tempo che ci vorrà per negoziare. Quindi, secondo il titolare degli esteri, ci potrebbero volere sei anni per uscire davvero dall’UE.

I conservatori – almeno per ora – sembrano aver serrato le fila intorno alla figura di Theresa May. Il contrasto con quello che sta accadendo invece nel partito Labour è stridente.

Angela Eagle, ex ministro ombra di Jeremy Corbyn, lo ha sfidato in nuove elezioni per la leadership, sostenuta da un vasto numero di parlamentari scontenti e ribelli.

Ma Corbyn ha dalla sua parte la base del partito, che dieci mesi fa lo ha eletto con un mandato forte, e i sindacati. In queste settimane di trambusto lui ha tirato dritto, infischiandosene dei malumori dei suoi parlamentari.

Nel loro tentativo di estrometterlo, gli ex colonnelli ribelli hanno tirato fuori la regola secondo cui, senza il sostegno di almeno il 20 per cento dei parlamentari (che Corbyn non ha), un candidato alla leadership non può entrare nel ballottaggio.

Ma ieri il comitato esecutivo nazionale del partito Labour, dopo una riunione fiume e scrutinio segreto, ha dato parere positivo. In quanto attuale leader, votato democraticamente, Corbyn va automaticamente in ballottaggio senza avere bisogno del sostegno del 20 per cento dei parlamentari laburisti e dei membri del parlamento europeo appartenenti al partito.

Eagle, la sfidante, ha accusato il colpo. Corbyn ieri era raggiante. “Faremo campagna per quello che conta veramente,” ha detto. “L’ineguaglianza e la povertà che esistono in questo paese, il bisogno di mettere fine alla privatizzazione del nostro servizio sanitario nazionale, la necessità di dare speranza e opportunità ai giovani.”