Sono sincero: su quanto accaduto in Turchia venerdì notte non ho affatto le idee chiare. Però ci sono alcuni punti che voglio sottolineare e portare alla vostra attenzione, perché ritengo siano fondamentali. Primo, la grande stampa, quella autorevole che grida al complottismo non appena qualcuno decide di porsi delle domande rispetto alla versione ufficiale di un fatto, è diventata essa stessa complottista: Erdogan si è fatto il golpe da solo per rilegittimarsi e poter dar vita alle purghe staliniane che sta compiendo tra magistrati, militari e dipendenti pubblici. Insomma, se fa comodo alla causa, il complottismo è legittimo.
Secondo, nessuno ha posto l’accento sulla cosa forse più importante: l’atteggiamento degli Usa verso la vicenda. Mentre, infatti, il colpo di Stato prendeva forma, la tv russa rimandava le immagini dell’incontro tra Victoria Nuland e John Kerry da una parte e Vladimir Putin e Serghei Lavrov dall’altra, al Cremlino. Un incontro il cui esito è stato definito pessimo da fonti diplomatiche russe: rottura su tutta la linea, dalla Siria al nuovo interventismo Nato nel Baltico. Da più parti si faceva notare che la Nuland, consigliere del Dipartimento di Stato per gli affari euro-asiatici, fosse la vera tessitrice della tela, mentre Kerry si limitava a interpretare il suo ruolo ufficiale. Putin non l’ha mai guardata in faccia, mentre lei enumerava tutto ciò che il cosiddetto Occidente rimprovera al titolare del Cremlino, ma gli sguardi di entrambi erano glaciali: di fatto, la nuova Guerra Fredda è scoppiata.
C’è un problema, però. Quando lo Stato maggiore dell’esercito turco ha dichiarato di aver preso il controllo del Paese, John Kerry si è limitato a un laconico «gli Stati Uniti auspicano pace e continuità per la Turchia», quasi a voler dire che il governo golpista aveva la legittimazione di Washington, ammesso e non concesso che non si lasciasse andare a un bagno di sangue o a instabilità politica nell’area. Poi, sempre da parte Usa, è cominciata la disinformazione della NBC: prima Erdogan era a Marmaris, poi a Bodrum, poi su un aereo, chiedendo asilo politico in Germania e poi, invece, in volo verso Londra. Dove fosse davvero il presidente turco non si sa, certamente esistono tracciati radar che mostrano il suo aereo in perfetta linea di fuoco di due F-16 dell’aeronautica turca. I quali non hanno fatto fuoco. Di più, a scortare l’aereo presidenziale c’erano altri due F-16, sintomo che anche tra i militari la frattura rispetto alla fedeltà per il presidente era enorme. Ricordatevi una cosa: nessuno può fare un golpe se non ha dalla propria parte, al 100%, le tre forze armate. Nessuno.
Poi, la CNN turca ha “ospitato” la dichiarazione dal vivo via Periscope dello stesso Erdogan, il quale ha invitato i cittadini a scendere in strada in difesa della democrazia (sigh) e per contrastare l’esercito, schierandosi al fianco della polizia. Cosa, in effetti, avvenuta, sia ad Ankara che a Istanbul. Spesso, con eccessi. Ma qui viene da chiedersi una cosa: sono vere le immagini delle decapitazioni di soldati che sono circolate sulla stampa turca e internazionale o sono dei falsi? Perché si sa, gli Usa hanno deciso di chiudere i conti con gli alleati più scomodi e quindi ogni mezzo è valido, visto che serve indossare la maschera del cavaliere senza macchia e senza paura che lotta contro l’estremismo islamico, dopo averlo usato in chiave destabilizzante fino all’altro giorno.
Casualmente, infatti, venerdì – tre ore prima della notizia della chiusura dei due ponti sul Bosforo da parte di mezzi militari – gli Stati Uniti avevano finalmente reso pubbliche le 28 pagine secretate del report sull’11 settembre, quelle che mostrano collegamenti degli attentatori con canali e fonti dell’Arabia Saudita. Insomma, Washington taglia di netto il cordone ombelicale che la univa politicamente alla famiglia reale wahabita e salafita e mostra al mondo le sue responsabilità in quello che è, a oggi, il più terrificante attentato della storia moderna. Fuori uno. Poco dopo, l’altro impresentabile sembra destinato a fare una brutta fine e, infatti, Kerry salta subito sul carro dei vincitori laici, i custodi kemaliani della costituzione e della lotta alla deriva islamista di Erdogan. Ma qualcosa va storto, perché nel momento in cui alla sede delle tv di Stato si comincia a sparare e la gente comune si unisce alla polizia per combattere i militari che ne avevano peso il controllo, arriva il dietrofront: Barack Obama, da Washington, fa sapere che «l’America si schiera con il governo legittimo della Turchia». Ovvero con Erdogan, il quale piaccia o meno, lo scorso novembre ha ottenuto la fiducia del 52% dei votanti.
Cos’è successo nel frattempo? Vista la piega che stavano prendendo gli eventi e avuto ragguagli dall’intelligence, Obama ha voluto evitare figuracce? Probabile, ma il danno ormai era fatto, visto che ristabilito l’ordine, Erdogan ha immediatamente accusato del golpe l’esule islamista Gulen, da anni residente in Massachusetts e chiesto la sua consegna al governo Usa, il quale ha risposto seccamente per bocca dello stesso Kerry: «Ci consegni le prove del coinvolgimento di Gulen nel colpo di Stato». Ma non basta, perché in piena escalation della tensione con Washington, Erdogan ha fatto arrestare un alto generale della base aerea di Incirlik, insieme con altri ufficiali nell’ambito dell’ondata di repressione scatenata in Turchia dopo il fallito golpe. La base aerea, le cui operazioni sono state sospese, è utilizzata dalla coalizione araba a guida americana per colpire in Siria le postazioni dell’Isis. Il generale Bekir Ercan Van è stato interrogato dalla polizia, riferisce il quotidiano Hurriyet: il governo sospetta, ha riferito una fonte anonima, che la base sia stata utilizzata per rifornire un caccia ‘”dirottato” dai golpisti la notte di venerdì. Vero? Falso? Una cosa è certa: una base strategica per l’aviazione Usa nell’area è stata presa in ostaggio da Erdogan, la sfida a Washington è stata lanciata.
Di cosa è colpevole Erdogan agli occhi degli Usa? Di una deriva islamista della società secolarizzata da Ataturk? Beh, direi che se è così arrivano con qualche annetto di ritardo gli amici yankees. Oppure di aver fatto pace con Putin dopo l’abbattimento del caccia russo al confine siriano? Avete notate che timing straordinario per questo golpe? Stranamente, poi, nel delirio di dichiarazioni seguite al tentativo di colpo di Stato, ha fatto rumore il silenzio totale di Israele, anch’esso Stato con cui Erdogan aveva appena riattivato i rapporti diplomatici e che, per la prima volta in assoluto, aveva “tradito” gli Usa in fatto di cooperazione militare, siglando un accordo in tal senso proprio con Mosca.
Nuovi equilibri in atto? Più che probabile, tanto più che circola in ambienti diplomatici una versione dell’accaduto che spiegherebbe il cambio di rotta degli Usa verso quanto accaduto: nel corso dell’incontro, Putin avrebbe infatti detto a Kerry che truppe speciali russe erano già presenti in Turchia, perché a conoscenza del piano e pronte a unirsi alla polizia di Erdogan. Di più, dal confine siriano erano pronte a entrare in azione altre unità per dare man forte alle forze leali a Erdogan. Quindi, meglio che cambiate subito versione.
Vero? Falso? Anche in questo caso, non ci sono certezze. Una cosa, però, è chiara: cosa sia realmente accaduto e quali siano i nuovi equilibri in campo lo si capirà utilizzando come proxy il conflitto siriano. Se Erdogan smetterà di permettere ai miliziani dell’Isis di usare il confine turco-siriano come salvacondotto e, soprattutto, se smetterà di chiedere la testa di Assad come unico, possibile epilogo per la pace nel Paese, allora saremo davvero a una svolta. E qualcosa in tal senso lo ha già detto il primo ministro turco, Binali Yildirim, parlando alla televisione turca: «Noi ampliamo la nostra cerchia di amici, abbiamo già cominciato a farlo. Abbiamo normalizzato le nostre relazioni con l’Israele e la Russia, e ora, ne sono certo, normalizziamo le relazioni con la Siria. Ne abbiamo bisogno!». Boom! Tanto più che gli Usa hanno una base militare strategica in meno e che, dopo la strage di Nizza, la Francia ha detto di voler intensificare la lotta contro Daesh, sia in Siria che in Iraq, rafforzando l’uso della forza militare aerea: lo faranno davvero?
Una sola cosa è certa, cristallina: l’inesistenza politica e diplomatica dell’Ue. La quale, impegnata nel vertice euro-asiatico di Ulan Bator, ci ha messo due ore prima che Federica Mogherini si degnasse di dire la sua solita banalità, con Jean-Claude Juncker che con ogni probabilità a quell’ora era già sbronzo. Che pena, che infinita tristezza un’Unione che di fronte a un fatto simile non sa fare altro che invocare la pace e la stabilità, senza intervenire, né riunire un’unità di crisi. Ieri, poi, la svolta che fa capire in quale direzione ancora una volta l’Ue si muova, quella che fa comodo a Washington. Parlando alla Reuters, il commissario Ue che gestisce il dossier turco, Johannes Hahn, ha dichiarato quanto segue: «Alla fine sembra che qualcosa fosse stato preparato. Le liste degli arrestati erano disponibili, un qualcosa che indica come fosse stato preparato e pronto a essere usato a un certo punto. Sono molto preoccupato, è esattamente quanto temevamo».
Dunque, dopo averlo ricoperto d’oro per evitare che ci facesse invadere da centinaia di migliaia di profughi e avergli promesso visti liberi per i cittadini turchi nell’Ue, non più tardi di due mesi fa, di colpo l’Unione scopre che Erdogan è un cattivone con cui non bisogna avere a che fare: che strana combinazione temporale? E poi, voilà, salta fuori l’ipotesi ripristino della pena di morte. Tac, Federica Mogherini non ha dubbi: «Non può entrare nell’Unione uno Stato che applichi la pena capitale». Problema turco risolto? Strano, poi, il silenzio della Nato: ma come, c’è in atto un golpe militare in uno Stato membro, è nessuno fiata, se non il buon Jens Stoltenberg ma 24 ore dopo? Forse a Bruxelles si sapeva qualcosa prima e si è rimasti delusi per l’esito? O forse si sono sacrificati militari che davvero credevano al golpe, solo per permettere a Erdogan di compiere la sua vendetta, mostrandolo al mondo come dittatore spietato e quindi sacrificabile, un domani, agli occhi dell’opinione pubblica europea e statunitense?
Sia chiaro, Erdogan non mi è mai piaciuto e i miei articoli penso che lo abbiano dimostrato senza dubbi nei mesi scorsi, ma attenzione a non ritenere quanto accaduto un’occasione persa per la democrazia: occorre sempre sapere chi c’è dietro a certi piani, prima di decidere la bontà o meno di uno sviluppo politico simile. Attenzione, quindi, a quanto accadrà in agosto, quando probabilmente calerà l’attenzione dei media. E le manovre davvero importanti si sostanzieranno. Sottotraccia.