Il politico tedesco iraniano, deputato del partito “Bündnis 90/ Die Grünen” (i verdi tedeschi) Omid Nouripour, ha scritto su Twitter ciò che presumibilmente pensano persone che hanno conosciuto giovani afghani, per lo più molto gentili e pieni di rispetto: “lavoro da anni con giovani afghani, che sono in Germania senza genitori. Come spiegare alle vittime di #Würzbürg che la maggioranza vuole solo pace. #amarezza”.
La notizia a cui si riferisce Nouripour è ormai nota in tutto il mondo: un giovane afghano di 17 anni, Muhammad Riad, ha aggredito con un coltello ed un’ascia alcune persone su un treno bavarese e poi nel tragitto di fuga dal treno. Quattro di queste persone sono molto gravi. Testimoni hanno riferito che lo ha fatto gridando: “Allahu Akbar” (Dio è grande). La polizia — un reparto speciale presente casualmente sul luogo del crimine — lo ha poi ucciso, perché si sarebbe comportato in modo aggressivo anche nei loro confronti.
In uno speciale del telegiornale (“Brennpunkt”), Simone Barrientos, lavoratrice sociale che conosceva personalmente il giovane, il quale la salutava sempre in modo molto cordiale, ha posto una domanda che ha twittato anche una famosa politica verde, Renate Künast: non sarebbe stato possibile fermarlo senza ucciderlo? Questo avrebbe permesso anche di chiedergli i motivi della sua azione, ha motivato Barrientos. Il ministro degli Interni bavarese, Joachim Herrmann (Csu) ha difeso invece il lavoro della polizia, che ha messo fine a questo crimine prima che un ufficiale della polizia stesso venisse ammazzato.
Herrmann ha colto l’occasione di questo primo attacco dello stato islamico in Germania per riproporre la politica dura con cui la Csu nei mesi scorsi si è dissociata spesso dalla politica troppo permissiva della cancelliera Angela Merkel: anche senza voler generalizzare la colpa di una persona, che è soltanto uno delle migliaia di giovani presenti in Germania senza i loro genitori, rimane il fatto che il suo esempio fa vedere come sia pericolosa la situazione creatasi con l’entrata di così tanti profughi in Germania. Bisognerà dunque capire il fanatismo religioso di questi giovani per cercare di integrali nella società tedesca, ma aumentare allo stesso tempo le misure di sicurezza, fermare il flusso di profughi. Sarà necessario poi controllare e fermare con decisione quei gruppi fanatici, già presenti in Germania, che cercano di usare questo potenziale giovanile senza famiglia, o attirandoli nell’illecito (traffico di stupefacenti, etc.) o appunto arruolandoli per attacchi terroristici anche di piccola dimensione, ma che generano molta paura nella nostra società.
Il ministro per la famiglia e la gioventù, Manuela Schwesig (Spd) ha sottolineato in un’intervista ad Ard (primo canale tedesco) piuttosto la necessità di un’opera di integrazione e di educazione, anche perché moltissimi giovani spariscono dopo essersi integrati per un breve periodo in Germania. Schwesig si era espressa su twitter in modo meno politico e più simpatetico: “l’attacco a #Würzburg è scioccante. I miei pensieri vanno ai feriti, spero che siano in via di miglioramento”.



Un professore esperto di terrorismo, Peter Neumann, ha subito visto un nesso con la strage di Nizza: in entrambi i casi si tratta di persone che agiscano in modo solitario dopo un processo molto veloce di radicalizzazione, avvenuto in primo luogo in rete. Questo tempo veloce di radicalizzazione — è sempre Neumann a parlare — è una novità a cui siamo stati resi attenti con Nizza; lui stesso aveva sempre insegnato ai suoi allievi che non si diventa terroristi in una notte. Alla fine della intervista trasmessa nel “Brennpunkt” già citato ha tenuto però a sottolineare che non si deve reagire in modo esagerato a tali avvenimenti, anche se provocano una paura comprensibile, perché proprio una tale reazione eccessiva è quella che vuole lo stato islamico, che nei suoi manuali per “lupi solitari” invita ad usare tutto: camion, coltelli ed asce per destabilizzare la psiche dell’occidente.  
Non c’è dubbio infatti che questa azione terroristica ha provocato una grande paura qui in Germania. Viaggiare in treno è un’esperienza del tutto quotidiana, che tutti conoscono e che tutti reputano sicura, in primo luogo i genitori che aspettano i loro figli a casa perché studiano in un’altra città. L’alternativa all’angoscia sembra risiedere in un appello, quello che viene dalla nuova, precaria condizione di vita cui saremo sempre più esposti. Al cospetto di questa sfida nel quotidiano c’è bisogno di una speciale forma di eroismo, quella che ricordava san Giovanni Paolo II commentando san Benedetto: è giunto il tempo che il quotidiano diventi eroico e l’eroico quotidiano. Non bisognerà perdere di vista i progetti di integrazione e le misure di sicurezza, tutte iniziative lodevoli e necessarie, ma l’Europa, se non vuole irrigidirsi in una paura paralizzante, dovrà scoprire ciò che è il “solo necessario” di cui parla il Vangelo e che il Vaticano II esprimeva così: “Del resto, tutti sappiamo che la vita dell’uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli uomini” (Gaudium et spes, 51).
Senza questa prospettiva trascendente — che vale sia per le vittime che per i terroristi — come sarà possibile evitare quella reazione esagerata di cui parlava Peter Neumann e che rappresenta la prima vittoria dello stato islamico, la cui propaganda è così efficiente da aver aperto un sito con notizie islamiche anche in lingua tedesca?

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