Che nell’attentato di Nizza ci sia più di qualcosa che non torna, penso sia chiaro a tutti. Il killer era tutto tranne che un fervente musulmano: beveva, si drogava, mangiava carne di maiale ed era bisessuale. Diciamo che non sono esattamente i segni distintivi del militante modello dell’Isis. Per il ministro dell’Interno francese, si era radicalizzato nelle ultime due settimane: a casa mia, si chiama plagio. Chi lo ha plagiato, portandolo a compiere una strage? Si dice un imam radicale presente a Nizza. Si dice. Prendiamo per buona questa versione e accettiamo che esistano predicatori così carismatici da essere in grado di fare il lavaggio del cervello a una persona, di per sé già instabile, e di trasformarlo in un martire della causa: non si poteva evitare quanto accaduto? Perché ai due imbocchi della Promenade des Anglais hanno stazionato per ore alcune macchine della polizia messe di traverso per evitare ogni ingresso e, magicamente, quando la strada era stracolma per i fuochi artificiali, se ne sono andate? 



Quale idiota, poi, può credere alla versione fornita dal killer, ovvero che doveva passare con il camion per consegnare dei gelati? E qui la questione si fa seria per i francesi, perché non so se è peggio avere dei complici o dei deficienti in divisa? Il nostro martire, poi, è andato a prendere il camion in bicicletta, ma non l’ha legata da qualche parte, l’ha messa nel vano posteriore del camion, quasi più tardi gli fosse servita ancora. Da morto? Allora non era una missione suicida, almeno nei piani originali? E come mai, se era disperato per problemi economici e per il divorzio dalla moglie, ha spedito 100mila euro ai parenti in Tunisia pochi giorni prima della strage? E come mai la stessa polizia di Nizza, in un primo momento, ha detto che il corpo del killer è stato trovato crivellato di colpi, ma sul sedile del passeggero e non di guida? Infine, come nel caso di Charlie Hebdo, carta d’identità e carta di credito del killer erano in bella vista nella cabina di guida, garantendo riconoscimento immediato.



Da qualsiasi parte la si guardi, questa storia fa acqua. Il problema è capire cosa stia succedendo in Francia: c’è uno Stato nello Stato che gioca alla strategia della tensione, come accadde sul finire degli anni Settanta in Italia? E se sì, a che pro? Eliminare il governo in carica? Hollande e Valls sono già al minimo storico di consenso e l’anno prossimo si vota, che senso avrebbe sacrificare vite umane? Oltretutto, atti come questi non fanno che portare acqua al mulino del Front National. Le forze di sicurezza vogliono garantire alla Le Pen l’elezione all’Eliseo? Improbabile. Eppure qualcosa non torna, né qui, né nell’attacco a Charlie Hebdo, né tantomeno nella strage al Bataclan. 



Un motivo potrebbe esserci in tanta ferocia: il 26 luglio sarebbe scaduto lo stato di emergenza e Hollande, passati senza attacchi gli Europei di calcio, non aveva motivo di prorogarlo. Detto fatto, non appena accaduta la strage in Costa Azzurra, è stato deciso immediatamente il prolungamento per altri tre mesi. Quale importanza ha questo status? Di fatto, è fondamentale, perché garantisce al presidente potere pressoché assoluto, anche quello di bypassare completamente il Parlamento nel prendere decisioni di vitale importanza per la sicurezza nazionale. 

Lo schema, poi, non è nuovo. Almeno, in America è ampiamente collaudato. Gli agenti federali reclutano un informatore, preferibilmente di origini mediorientali o nordafricane e con carichi penali pendenti, in modo da poterlo ricattare qualora non collaborasse. Lo infiltrano in una comunità islamica con l’incarico di fingersi membro di un’organizzazione terroristica e individuare soggetti disadattati e/o psicolabili ai quali proporre un attentato. Grazie al supporto logistico e finanziario prestato dall’FBI, l’infiltrato fornisce al suo pupillo denaro, armi ed esplosivi, gli suggerisce un piano e lo mette in condizione di realizzarlo, rimuovendo ogni eventuale ostacolo alla sua attuazione. Poi, subito prima che azioni il detonatore, l’FBI arresta l’attentatore in flagranza di reato e un tribunale federale lo condanna a decine di anni di carcere per tentato atto terroristico. E il budget per l’agenzia è salvo, nel caso sia soltanto la sopravvivenza del proprio posto di lavoro la priorità. Altrimenti, si destabilizza senza doversi sporcare le mani in prima persona. E il mondo, purtroppo, è pieno di mitomani e depressi che, se abilmente manipolati, sono in grado di fare cose che nessuno immaginerebbe. Anche a Nizza. 

E perché i governi creano crimini, di fatto, per risolvere crimini? Per mantenere viva la paura. Un popolo impaurito è più agevole da controllare e meno propenso a mettere in discussione gli atti di un governo percepito come unico presidio possibile contro la follia dei cattivi di turno. Semplice ma terribilmente funzionale. È andata così? In situazioni simili, nessuno ha la certezza in tasca. Sono mille le variabili che possono intervenire, mille i cambiamenti occorsi. Una cosa, però, non è discutibile: tutti gli atti di terrorismo accaduti in Francia hanno una matrice comune: falle dell’intelligence e stranezze a profusione. Può accadere una volta, due, ma quando ci si trova di fronte a un sistematico campionario di incongruenze, le domande diventano, oltre che legittime, anche doverose. Rendiamoci conto, poi, del contesto mondiale in cui vanno a inserirsi questi atti: di fatto, con l’arresto dei due piloti che avrebbero abbattuto il mig russo al confine siriano (finiti nella schiera dei golpisti), Erdogan ha confezionato il pacco dono che porterà ad agosto a Mosca nella sua visita a Vladimir Putin. 

L’alleato chiave degli Usa nell’area e il membro Nato ha scelto il “nemico”, almeno ragionando secondo le categorie semplicistiche degli Stati Uniti: come la mettiamo, ora? Se la Turchia entra nella sfera di influenza di Mosca, come si porrà l’Unione europea? La Francia, subito dopo l’attacco a Nizza, ha detto di voler intensificare i bombardamenti contro Daesh in Iraq e Siria: lo farà davvero? O i nuovi equilibri in atto, lo sconsiglieranno. Qualcuno, poi, sembra voler tirare per la giacca anche Angela Merkel, visto che l’afghano 17enne che ha colpito con un’ascia i viaggiatori di un treno nel Sud del Paese l’altra notte, aveva in casa una bandiera dell’Isis fatta in casa e lo stesso Califfato ha benedetto la sua azione, definendolo un soldato. Anche in questo caso, ci vuole poco a riempire una testa instabile di precetti che glorificano un’esistenza vuota. Ma potrebbe anche essere il contrario, ovvero l’azione di una persona che realmente è convinta che uccidere infedeli sia un dovere: in un caso o nell’altro, la Cancelliera e la sua politica di porte aperte all’immigrazione salgono ogni giorno di più sul banco degli imputati. 

E se il voto politico è atteso per l’anno prossimo, a settembre si terranno due turni di amministrative, tra cui Berlino: se Alternative fur Deutschland farà il pieno, allora l’instabilità potrebbe divenire la variabile più pericolosa anche per la nazione architrave d’Europa. Il tutto con la data del 2 ottobre che incombe, quando si rivoterà il ballottaggio per le presidenziali austriache e l’Ungheria andrà alle urne per il referendum sui ricollocamenti di migranti tra Stati membri: se anche da quelle consultazioni uscirà una linea anti-migranti, l’impianto stesso dell’Ue non avrà più senso, dopo lo schiaffone del Brexit. 

Si sta andando verso una distruzione controllata dell’Ue? Penso proprio di sì, occorre un’emergenza davvero seria perché il fallimento dell’idea di Europa unita possa passare in maniera non catastrofica. Questa Europa sta costando troppo alla Germania, dopo averne beneficiato per oltre un decennio a colpi di surplus commerciale e dumping sull’export, garantito dall’euro su misura del marco. Ieri si è registrata una brusca caduta del clima di fiducia tra gli investitori: di colpo, l’indice elaborato dalla società di ricerche Zew, è finito in territorio negativo, a meno 6,8 punti, minimo da quasi 4 anni, dai 19,2 punti registrati a giugno. E anche l’indice riferito alle attuali condizioni economiche in Germania è calato a 49,8 punti dai 54,5 dello scorso mese. «Il voto per la Brexit ha colto di sorpresa la maggior parte degli esperti di finanza. Le preoccupazioni sulle prospettive dell’export e sulla stabilità del settore bancario peseranno sull’economia», ha rilevato il presidente dello Zew, Achim Wambach. 

Il problema è poi un altro: il Qe sta distruggendo la profittabilità del sistema bancario tedesco, visto che i tassi stanno scendendo sempre più in negativo. Berlino deve dire addio a tutto questo e deve farlo in tempi relativamente brevi: occorre distruggere questa Europa, ma per farlo senza conseguenze devastanti, occorre un alibi davvero forte. Il terrorismo appare perfetto. Prepariamoci, quindi, ad altri morti innocenti e ad altri depressi che si tramutano in kamikaze e martiri. È il prezzo da pagare alla follia di un’elite il cui Frankenstein è sfuggito, per l’ennesima volta, di mano.