Io capisco che l’emergenza terrorismo in Europa concentri tutta l’attenzione dei media, ma quanto è accaduto negli ultimi giorni negli Stati Uniti è qualcosa di senza precedenti nella storia moderna, se escludiamo il caso Watergate. Dopo aver ricoperto Trump della solita immondizia radical-chic, la stampa ha infatti debitamente silenziato quanto accaduto alla vigilia della convention democratica in corso a Philadelphia, durante la quale Hillary Clinton verrà incoronata candidata alla Casa Bianca. 



Primo, Bernie Sanders si è rivelato il pagliaccio che è: ha strepitato contro la Clinton e il suo essere serva di Wall Street per l’intera campagna elettorale e ora, dopo che i Repubblicani hanno messo nel loro programma il ripristino del Glass-Steagall Act per il sistema bancario, cosa fa il senatore del Vermont? Appoggia ufficialmente la sua nemica giurata, dicendo che è onorato di farlo e che sarà un’ottima presidente. La folla lo ha coperto di fischi, insulti e boati, ma poco male: l’arrivo di Michelle Obama ha silenziato tutto. Cosa ad esempio? Il fatto che Wikileaks abbia reso note alcune mail del Comitato elettorale del partito Democratico nelle quali non solo si diceva chiaro e tondo che bisognava gettare discredito contro Bernie Sanders a favore della Clinton, ma che i media erano parte di questo piano. 



La numero uno del Comitato, Debbie Wasserman Schultz, si è dimessa a seguito dello scandalo, ma è stata immediatamente assunta nello staff di Hillary Clinton. Meritocrazia, prima di tutto. Di più, domenica, intervistato dalla CNN, il manager della campagna elettorale della Clinton, Robby Mook, aveva puntato il dito contro Mosca: «I nostri esperti ci hanno detto che attori statali russi si sono inseriti nel nostro sistema e hanno rubato le mail. Mentre altri nostri esperti ci dicono che la loro diffusione sarebbe un favore di Mosca verso Donald Trump». Al culmine del ridicolo, l’FBI, ovvero la stessa agenzia federale che ha graziato la Clinton da un’accusa – utilizzo di un server privato per mail secretate quando era Segretario di Stato – che le sarebbe costata non solo la candidatura, ma, probabilmente, la galera, ha aperto un’inchiesta in tal senso. 



Ieri è arrivata la risposta russa alle accuse attraverso l’uomo più vicino a Putin, il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, il quale ha dichiarato quanto segue, mettendo da parte la diplomazia: «Non voglio usare quella parola di quattro lettere». Che non è “mail”, ma “fuck”, ovvero vaffanculo. Ma si sa, la narrativa è univoca: la Clinton impersona il bene, Trump il male assoluto. Anche perché le varie Giovanne Botteri di questo mondo, dell’America che si appresta a scegliere il suo capo, raccontano solo ciò che fa comodo alle istanze sinistrorse e politically correct, mica tutto. Ad esempio, scommetto che quanto sto per dirvi alla Rai non lo sentirete. 

Uno dei più importanti quotidiani di Tamaulipas, uno stato di confine messicano, El Mañana, ha pubblicato l’altro giorno un editoriale dal titolo “Sì al muro di confine… ma nel Messico del Sud”. Ovvero, i messicani stessi – quelli che vengono additati come vittime del razzismo di Trump – chiedono la costruzione di un muro ai confini sud del Paese con l’America centrale, per l’esattezza con Guatemala e Belize. «Quei confini non ci portano alcun beneficio e, al contrario, soltanto problemi, visto che sono diventati i punti di passaggio utilizzati per una nuova invasione, quella che vede i cittadini dell’America centrale usare il Messico come porta d’accesso per gli Stati Uniti», si leggeva nell’editoriale. Che razzisti questi messicani, quasi come Trump. 

E nessuno vi racconterà di “Clinton Cash”, il libro di Peter Schweizer, di cui su YouTube circola una versione in documentario, il quale è stato definito dal New York Times, «il libro più anticipato e temuto in uno ciclo presidenziale», mentre per la Msnbc si tratta di «un colpo devastante per la campagna di Hillary Clinton». E cosa dice? Tra le altre cose che, abbandonata la Casa Bianca da Bill, i coniugi Clinton erano alle soglie della bancarotta, mentre ora possono contare su un patrimonio di 150 milioni di dollari e la loro Clinton Foundation ha ottenuto donazioni per 2 miliardi di dollari. Di più, il grosso dei guadagni Hillary Clinton lo ha ottenuto quando era segretario di Stato, attraverso strapagate conferenze e ancor più lucrativi contratti con compagnie straniere. 

Ovviamente lo staff della Clinton ha definito il documentario nulla più che un concentrato di teorie cospirative della destra, peccato che quanto contenuto nel libro di Schweitzer e quindi nel documentario abbia trovato decine e decine di conferme anche da parte di media mainstream. Inoltre, incrociando i dati del libro con quelli contenuti nei Panama Papers, la Clinton Foundation appare più una banca d’affari che una charity. Ma si sa, il cattivo è Trump, il quale infatti nutre simpatia – ricambiata – verso quell’altro demone di Vladimir Putin. La Clinton no, lei sì che sa difendere la democrazia occidentale. Come ad esempio quando, da segretario di Stato e insieme al marito Bill, ha assistito un finanziere canadese, Frank Giustra e la sua compagnia, Uranium One, nell’acquisizione di concessioni minerarie in Kazakistan e Stati Uniti per l’estrazione dell’uranio. In seguito all’operazione, il governo russo ha tentato di acquisire proprio la Uranium One, ma per farlo aveva bisogno dell’approvazione dell’amministrazione Obama, vista la strategicità dell’asset in discussione. E mentre il Dipartimento di Stato seguiva l’iter, guarda caso, nove azionisti della Uranium One si sono sentiti in dovere di fare donazioni per 145 milioni di dollari alla Clinton Foundation. 

Di più, la rivista New Yorker, non certo tacciabile di simpatie per Trump, ha confermato che Bill Clinton ha ricevuto 500mila dollari come compenso per aver parlato a una conferenza di una banca d’investimento russa, molto legata al Cremlino, proprio nel corso della trattativa tra Mosca e Washington per la Uranium One. Detto fatto, il Dipartimento di Stato diede il via libera all’acquisizione russa del 20% degli assets in uranio statunitensi. Ma i Clinton sono una famiglia unita, vecchio stile americano e quindi non ci si scorda di nessuno. Ad esempio del fratello di Hillary, Tony Rodham, il quale siede nel consiglio di amministrazione di un’azienda mineraria che, casualmente, ha appena vinto una concessione per l’estrazione d’oro in una miniera appena scoperta ad Haiti, una delle due sole concessioni concesse in 50 anni in quel Paese. 

Certamente, la quantità di soldi che il Dipartimento di Stato ha paracadutato ad Haiti dopo il terremoto del 2009 e finita nelle tasche dei soliti noti e non nella ricostruzione, non avrà pesato per nulla sulla decisione. E cosa dire, tanto per restare nel campo delle casualità, del fatto che dopo essere stato ignorato per 8 anni dalla sua dipartita dalla Casa Bianca, di colpo Bill Clinton ha ricevuto 2 milioni di dollari dalla TD Bank per una serie di conferenze? Casualmente, la prima di queste si è tenuta solo quattro giorni dopo la nomina di Hillary Clinton a segretario di Stato. Stranamente, la TD Bank è il singolo maggior azionista della pipeline Keystone XL, la quale necessitava dell’approvazione del Dipartimento di Stato: detto fatto, alla faccia degli ambientalisti, la Clinton supportò il progetto e riuscì a spostare la decisione negativa che l’amministrazione Obama intendeva dare al riguardo. 

Potrei andare avanti all’infinito, ma l’articolo è già troppo lungo. La morale che ne traggo, però, è breve: Hillary Clinton rappresenta il peggio che la politica mondiale possa offrire e il suo approdo alla Casa Bianca sarebbe un disastro senza proporzioni. E gli americani pare comincino ad accorgersene, visto che nell’ultimo sondaggio della CNN su campione nazionale, Trump è avanti con il 48%, mentre la Clinton è al 45%. Ma, se volete, continuate pure ad ascoltare i Magnificat laici della Botteri.