La “questione palestinese” ha dominato per decenni le discussioni sul Medio Oriente, ritenendosi che senza la sua soluzione non sarebbe stata possibile la pace nella regione. In Medio Oriente la pace sembra sempre più lontana, ma il conflitto tra palestinesi e Israele non ricopre più il ruolo centrale di un tempo. La questione palestinese avrebbe potuto essere risolta già da cinquant’anni, se gli Stati arabi e l’Olp non avessero fatto della distruzione di Israele il loro obiettivo principale. E ora un’altra “questione”, ancor più destabilizzante, sta venendo alla ribalta: la questione curda.



I curdi iracheni e siriani stanno svolgendo un ruolo fondamentale nella guerra contro lo Stato islamico e sono stati i più decisi nel considerare quella contro l’Isis una vera e propria guerra. Una guerra da loro combattuta non solo contro una forma di Islam che non condividono, ma per la difesa del loro territorio. Si riapre così la secolare questione dell’indipendenza curda, popolo indoeuropeo che parla una lingua di ceppo iranico, imparentati quindi ai persiani, ma divisi su piano religioso: sunniti i curdi, sciiti in maggioranza gli iraniani. I curdi vengono considerati discendenti dei Medi e, non a caso, il loro calendario inizia dal 612 avanti Cristo, anno in cui i Medi abbatterono l’impero assiro. Sono da considerarsi quindi originari nel loro territorio, rispetto alle invasioni arabe di un millennio dopo (il calendario musulmano inizia dal 622 dopo Cristo) e da quelle ancor più recenti dei turchi.



All’interno dell’Impero ottomano, i vari principati curdi hanno potuto godere di una certa autonomia, almeno fino all’800, e curdo era uno dei più famosi sultani, Salah al-Din, noto in Occidente come Saladino. I curdi si sono anche distinti come manovalanza nella deportazione e massacro degli armeni nel 1915, voluti dal governo dei Giovani Turchi, il cui leader, Kemal Atatürk, diventerà il fondatore della Turchia moderna. I curdi appoggiarono Kemal nella speranza di un proprio Stato indipendente, previsto peraltro dal Trattato di Sévres, ma proprio l’opposizione della nuova Turchia rese questo sogno impossibile. I governi kemalisti hanno sempre negato la stessa esistenza di un’identità curda separata da quella turca, riconoscimento avvenuto invece con Erdogan, malgrado la sua attuale repressione nei loro confronti.



I curdi sono stimati in circa 30 milioni, di cui circa una metà in Turchia, e gli altri soprattutto in Iraq e Iran, mentre in Siria se ne stimano circa due milioni, divisi in tre enclave. La costituzione di uno Stato curdo indipendente scatenerebbe violente reazioni nei Paesi in cui vivono ed è resa molto difficile dalle ampie divisioni al loro interno, che li hanno spesso portati a combattersi tra loro.

La maggiore opposizione all’indipendenza curda viene dalla Turchia, che dovrebbe rinunciare a una parte non indifferente del suo territorio e ad almeno un quinto della sua popolazione. In Iran il problema sembra essere meno sentito, anche perché ai curdi è stata riconosciuta una separata identità nazionale e una certa autonomia. È da tener presente, tuttavia, che proprio in territorio iraniano fu fondata nel 1946, su spinta sovietica, la Repubblica curda di Mahabad, durata neppure un anno, ma il cui ricordo è ancora custodito da molti curdi.

Diversa la situazione nel Kurdistan iracheno, dove si è raggiunto un accordo tra le varie fazioni che si erano combattute in una guerra civile nella seconda metà degli anni ‘90. La Costituzione irachena prevede una certa autonomia alla “Regione del Kurdistan”, ma recentemente è stata avanzata nel Parlamento iracheno una proposta di modifica costituzionale che, tra vari altri punti, pone in discussione proprio l’autonomia curda, considerata toppo estesa. Ovviamente, a tali modifiche si oppone la rappresentanza curda, che contesta anche, secondo quanto riportato da Al Monitor, la proposta della presidenza irachena di costituire una provincia autonoma a Kirkuk, con una divisione dei poteri tra le tre nazionalità che vi convivono: curdi, arabi e turkmeni. I curdi considerano il centro petrolifero come parte del Kurdistan e accusano il passato regime di Saddam Hussein di aver arabizzato la provincia cacciandone i curdi.

Al Monitor riferisce anche di una riunione nel nord-est della Siria, alla fine di giugno, di una Assemblea Costituente in cui è stata approvata la bozza della Costituzione del Sistema Federale Democratico della Rojava- Siria del Nord, che dovrebbe riunire le aree curde in Siria sul modello federativo svizzero. Viene sottolineato che ci si vuole allontanare dalla concezione dello Stato-nazione e il preambolo cita non solo i curdi, ma tutte le varie nazionalità e confessioni presenti nelle aree della costituenda federazione.

L’iniziativa curda ha riscosso molte critiche ed è stata accusata di voler dividere la Siria, ma si è fatto anche notare che i curdi hanno in qualche modo anticipato un esito che sembra difficilmente evitabile: la fine dello Stato siriano com’è ora. In questa evenienza, la forma federale potrebbe rappresentare la soluzione più conveniente a evitare ulteriori sanguinosi conflitti e una ancor più grave destabilizzazione dell’intera regione. Una soluzione che è già in nuce in Iraq e che potrebbe essere un traguardo, per quanto difficile, anche per la Turchia.

C’è da sperare che Stati Uniti ed Europa si rendano conto della gravità della situazione e intervengano in modo più capace di quanto fatto finora per la questione palestinese.