Qualche giorno fa un banchiere intervistato dalla Bbc diceva che questa che stiamo vivendo non è una crisi economica. Non ancora. Questa è una crisi politica. Difficile non essere d’accordo. Brexit ha scatenato un terremoto politico a Londra. Ogni giorno il paese assiste sgomento al penoso spettacolo di politici che si accoltellano l’un l’altro o che si dimettono. Il terremoto è iniziato con le dimissioni di David Cameron da primo ministro (durante la campagna aveva detto che non si sarebbe dimesso anche in caso di vittoria di Brexit). Poi ci sono state le dimissioni shock di Boris Johnson – la figura più prominente del fronte Leave – provocate dal tradimento dell’ex alleato Michael Gove, che il padre di Johnson ha paragonato a Bruto nell’atto di pugnalare Cesare. Gove si è candidato a diventare premier, ma deve fare i conti con altri quattro candidati alla leadership. Oggi i Conservatori votano per eliminarne tre. Ne resteranno due per una successiva votazione. Le favorite sono due donne: Theresa May, ministro dell’interno, e Andrea Leadsom, ex ministro dell’energia, meno nota al grande pubblico. Il 9 Settembre sarà nominato il nuovo primo ministro.
Theresa May è quella che ha raccolto i maggiori consensi tra i compagni di partito. Può vantare una solida esperienza politica ed è una esperta negoziatrice, ma è nota per le posizioni rigide sull’immigrazione. Ha fatto campagna per restare in Europa, mantenendo però un basso profilo. Tuttavia, in un momento caotico come questo, è vista da molti come la persona ideale a cui affidare il governo. Qualcuno la paragona a Margaret Thatcher. A differenza della May, Andrea Leadsom ha il vantaggio di essere fortemente pro-Brexit. Ha dato pubblicamente il suo sostegno a Gove e Johnson durante la campagna referendaria. Con un passato nel mondo della finanza potrebbe piacere ai mercati, ma il suo punto debole è la relativamente poca esperienza politica, anche se è stata ministro per l’energia.
Michael Gove, ministro della giustizia del governo Cameron (precedentemente all’istruzione), ha perso la fiducia di molti per il modo in cui ha eliminato il favorito alla corsa per la leadership, l’ex amico e alleato Boris Johnson. Il voltafaccia di Gove, che insieme a Johnson è stato il principale Brexiteer conservatore, si è consumato nelle ore successive alla vittoria con la decisione inaspettata di candidarsi e di ritirare “lastminute” il suo sostegno al popolare collega. Questo tradimento rappresenta il maggiore ostacolo alle sue ambizioni politiche perchè sarà sempre visto come colui che ha pugnalato alla schiena l’ex sindaco di Londra.
Gli altri due candidati sono Liam Fox, che vanta una lunga esperienza in Parlamento e un’altrettanto lunga opposizione all’UE dai tempi del governo di John Major, e Stephen Crabb, giovane conservatore che si presenta come un’alternativa all’elite formatasi nelle scuole private in quanto vanta un’educazione nelle scuole pubbliche, ma che molti parlamentari considerano troppo inesperto. Contemporaneamente, nel Labour è in atto una rivolta dei parlamentari contro il leader del partito, Jeremy Corbyn, accusato di essere stato troppo tiepido nel corso della campagna per restare in Europa e giudicato non adatto al ruolo di leader. La rivolta si è espressa con le dimissioni della maggioranza dei ministri ombra nominati da Corbyn e di un gran numero di parlamentari laburisti. Lo sfida per la leadership la compagna di partito Angela Eagle. Ma Corbyn, che ha il sostegno dei sindacati e della base del partito dei lavoratori, non intende dimettersi. Il partito si presenta spaccato e sembra, al momento, non esserci una via d’uscita allo stallo che si è creato.
Questa crisi non sta risparmiando nessun partito a Westminster. Ieri c’è stata un’altra defezione illustre, quella di Nigel Farage, il leader del partito indipendentista Ukip che ha fatto di Brexit il suo principale obiettivo politico. Farage ha detto che vuole farsi da parte perchè ha raggiunto la sua ambizione politica con il voto a favore di Brexit. Inoltre, ora che la Gran Bretagna lascerà l’Europa, vuole riprendersi la sua vita. Così nel giro di pochi giorni tre partiti, Tory, Labour e Ukip, si sono trovati profondamente divisi e senza leadership. L’ultima cosa di cui il Paese aveva bisogno era una crisi politica. Il conto che il Regno Unito dovrà pagare sarà salato perchè su questa incertezza politica si innesterà la crisi economica del futuro. Perchè attualmente poco o nulla è cambiato nell’economia britannica, a parte la perdita di valore della sterlina.
La grande volatilità sui mercati finanziari è un’anticipazione della crisi economica che potrebbe arrivare. È l’espressione dei timori degli investitori, esacerbati dall’incertezza. Le dimissioni di due su tre (Johnson, Farage e Gove) pezzi da novanta del fronte Leave hanno il sapore di un tradimento per coloro che hanno votato Brexit. Si ha l’impressione che ora non vogliano sporcarsi le mani e preferiscano lasciare il lavoro ad altri. Se Theresa May sarà la più votata e otterrà la leadership del partito conservatore, ci troveremo nella paradossale situazione in cui il primo ministro, la persona che dovrà condurre i negoziati con Bruxelles per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, viene dal fronte che si è battuto per restare.