L’incontro tra Erdogan e Putin sembra del tutto coerente con lo scenario dominante in Medio Oriente, improntato alla vecchia regola: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Una regola la cui applicazione è peraltro molto mutevole, come mutevole è la situazione geopolitica dell’intera area. I recenti riavvicinamenti tra Turchia e Russia, come quello con Israele, hanno un loro corrispettivo nel raffreddamento dei rapporti con gli Stati Uniti, sia di Ankara che di Gerusalemme. In realtà Turchia e Russia hanno consistenti interessi economici in comune, soprattutto nel settore energetico, ma diversi punti di attrito sotto il profilo geopolitico, si pensi solo alle opposte posizioni in Siria. Tuttavia, per il momento sembra conveniente per entrambi guardare ai possibili punti di incontro, tanto più che gli Stati Uniti sono immersi in una caotica campagna presidenziale e l’Unione Europea è alle prese con una grave crisi interna.
Gli otto anni di presidenza Obama sono stati contrassegnati da una politica estera  quanto meno contraddittoria: l’unica linea chiara emersa è stata la volontà di mettere in un angolo la Russia, anche a rischio di una nuova guerra fredda. Questa strategia ha portato con sé la tragedia ucraina e si è rivelata disastrosa in Medio Oriente, come provato anche da questi ultimi “riallineamenti”. Sull’altro fronte, sia Putin che Erdogan sembrano rifarsi più o meno direttamente agli imperi del passato, quello zarista (e, in parte, quello sovietico) per il primo, quello ottomano per il secondo. Un altro fattore questo che rende non facile un’alleanza strategica di lungo periodo tra Ankara e Mosca.
Nel commentare l’incontro, il Jerusalem Post pone in rilievo come il riavvicinamento tra Turchia e Russia non ponga assolutamente a rischio i rapporti di Israele con quest’ultima, anzi le nuove relazioni che si sono venute a creare tra i tre Stati possono essere un fattore stabilizzante nella regione, anche senza ipotizzare una vera e propria politica comune, difficilmente pensabile. Il primo terreno di prova è la crisi siriana, dove le posizioni dei tre governi divergono, ma si lascia intendere che è ormai interesse di tutti trovare una soluzione, sia pure di compromesso. Ed infatti, Russia e Turchia hanno deciso di procedere con gli incontri sulla Siria, con buona pace di Usa e alleati.
Un altro oggetto di discussione è stata la ripresa degli accordi economici, sospesi dopo l’abbattimento dell’aereo russo da parte dei siriani e le conseguenti sanzioni russe, che hanno pesantemente danneggiato per esempio il turismo turco. Si riparla del Turkish Stream, il gasdotto che doveva sostituire il South Stream bocciato dall’Ue, della collaborazione nella costruzione di centrali nucleari, e via dicendo.



Per la verità, dai resoconti parrebbe una maggiore fretta da parte di Erdogan nel riallacciare questi rapporti, con Putin che si è premurato di sottolineare che “ci vorrà il suo tempo”. In fondo, come sottolinea il Jerusalem Post, la Russia è troppo grande per accontentarsi di relazioni bilaterali, per quanto importante possa essere la Turchia.
Un elemento significativo dell’incontro è stato il riconoscimento di Erdogan a Putin di essere stato il primo a felicitarsi per il fallimento del colpo di stato, precedendo clamorosamente gli alleati ufficiali della Turchia. Putin, dal canto suo, ha sottolineato che il governo russo “è contro tutti i tipi di tentativi di golpe”: un avvertimento all’Occidente?

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