C’erano state diverse avvisaglie durante questa campagna per le Elezioni Usa 2016, ma stavolta rischia di concretizzarsi sul serio il boicottaggio da parte dei Repubblicani nei confronti del candidato alla Casa Bianca Donald Trump. Sono andati a vuoto i tentativi di catechizzare a dovere l’imprenditore newyorchese, lui stesso non ha fatto mistero di voler proseguire sulla falsa riga di quanto fatto nelle Primarie repubblicane. Al bando il cosiddetto politically correct, Trump andrà avanti fino in fondo a modo suo. Ma stavolta rischia di doverlo fare da solo. Come riferito da Politico, infatti, nei giorni scorsi si è svolto un incontro che farà leccare i baffi agli amanti dei retroscena. Protagonista del vertice è stato Sean Spicer, capo-stratega del Comitato Nazionale Repubblicano, che ha convocato a Capitoll Hill 14 giornalisti per una conversazione sulle Elezioni Usa a microfoni spenti. Durante l’evento, secondo Politico, che al pari di BuzzFeed non ha ricevuto l’invito a partecipare, Spicer si sarebbe trattenuto a lungo nel ricordare quanto, finora, il RNC (Republican National Committee) abbia sostenuto con ingenti somme la candidatura di Trump, finanziandola ben oltre quanto fatto con Mitt Romney nel 2012, e rimarcando come le casse del partito non siano mai stato tanto in salute come in questo periodo. Il messaggio subliminale del discorso di Spicer, a detta di uno dei presenti, è stato più o meno il seguente: se Trump sta andando così male nei sondaggi, se Hillary Clinton sembra ormai indirizzata verso la vittoria, non è colpa nostra. Spicer ha detto che l’organizzazione messa in campo dal Comitato Nazionale Repubblicano è forse seconda soltanto a quella che nel 2012 mise in campo Obama, un modello di riferimento per qualsiasi Partito al mondo impegnato in una campagna elettorale. I toni di Spicer, ad ogni modo, sono sembrati simili a quelli usati da qualcuno che stia stilando un bilancio. I bilanci, però, di solito si fanno alla fine. E qui la corsa invece è molto lontana dal dirsi conclusa: si vota l’8 novembre, ci sono oltre 3 mesi per recuperare il distacco accumulato dalla Clinton, però…Però sembra che il Comitato Nazionale Repubblicano non ce la faccia più ad aspettare. Spicer ha sottolineato con forza l’impegno del presidente del RNC, Reince Priebus, che avrebbe provato in tutti i modi a convincere Donald Trump a mettere in atto il famoso “reset” di cui parlavamo qualche giorno fa. Un consiglio saggio, quello di abbassare i toni, ripartendo da zero, venuto proprio dai saggi del Grand Old Party: da Rudolph Giuliani, ex sindaco di New York, a Newt Gingrich, ex speaker della Camera dei Rappresentanti. Gente che di campagne elettorali ne ha viste, condotte e vinte tante. Spicer, nell’incontro a porte chiuse di Capitol Hill, ha svelato che Priebus è arrivato a chiamare Trump anche 5 o 6 volte al giorno, ma i suoi sforzi non ha dato i frutti sperati. Trump ha continuato a fare di testa sua e il Comitato Nazionale Repubblicano ha deciso che la resa dei conti è già arrivata. Potrebbero dunque diventare realtà i tanti avvisi di Priebus a The Donald: se non cambi direzione, i fondi a te destinati potrebbero essere deviati su altri settori. Trump potrebbe dunque trovarsi costretto a fare a meno dei soldi stanziati dal partito, a meno che le cose non cambino. La deadline, in ogni caso, dovrebbe essere posta a metà ottobre: troppo tardi per evitare una sconfitta, ma abbastanza presto per salvare la faccia e qualche fondo del partito Repubblicano, destinandolo magari alla realizzazione di qualche spot televisivo in grado di spingere le candidature al Senato di candidati come Marco Rubio e Rob Portman, nella speranza che il Gop riesca a mantenere quanto meno la maggioranza in una delle due camere che compongono il Congresso. In tutto ciò, dallo staff di Trump, queste voci vengono definite infondate. Si sottolinea che al RNC fa molto comodo che Trump continui ad essere supportato dal partito, perché gran parte dei fondi raccolti tramite donazione vengono proprio da sostenitori del tycoon di New York. In più, in una guerra di potere tutta interna ai Repubblicani, bisogna sottolineare la necessità del Gop di non dare modo a Trump, in caso di sconfitta, di rivendicare l’abbandono prematuro del Partito: meglio evitare di offrirgli alibi, rispettando almeno apparentemente il volere degli elettori che alle Primarie hanno votato in massa per lui. Tutto ciò nonostante i membri del Comitato Nazionale Repubblicano protetti dall’anonimato abbiano lamentato anche il disimpegno di Trump nel lavorare sui segmenti elettorali più importanti dal punto di vista strategico, dalle donne indipendenti fino agli ispanici scolarizzati. E dire che i due protagonisti della contesa, Priebus e Trump, fino ad oggi avevano fatto mostra di una grande unione. The Donald era arrivato a definire Priebus un “amico”, sottolineando il suo “grande lavoro” e bollando come carta straccia gli articoli che lo dipingevano come un ribelle mal digerito dal partito; dal canto suo anche Priebus, l’ultima volta venerdì scorso in un comizio in Pennsylvania, aveva consigliato agli elettori di non credere alla “spazzatura” propinata dalla stampa, dichiarando che tutti i repubblicani porteranno Trump alla Casa Bianca “salvando la nazione”. L’emblema della situazione attuale nel Gop, però, sottolinea Politico, si è vissuta proprio pochi minuti prima che l’incontro tra Spicer e i giornalisti andasse in scena. Ad attirare le attenzioni di tutti i presenti, più che lo stratega del RNC, erano infatti le immagini televisive della Cnn, che in quei frangenti mandava in onda il tentativo di un ragazzo, poi arrestato, di scalare la Trump Tower, il grattacielo sulla Fifth Avenue dove ha sede la multinazionale di Trump, con l’intento di incontrarlo. Un esempio concreto di come distrazioni e imprevisti nel partito Repubblicano siano ormai all’ordine del giorno. L’uragano Trump, volente o nolente, ha portato il caos nel suo schieramento e, a meno che il suo vortice non si dimostri più forte delle difese alzate da Hillary Clinton, ad essere risucchiato sarà soltanto il partito Repubblicano. (Dario D’Angelo)



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