Donald Trump ha un grosso problema in queste Elezioni Usa 2016: l’elettorato ispanico. Il candidato del partito Repubblicano fatica ad attrarre consensi in questo segmento elettorale, al contrario di una Hillary Clinton che della popolazione latina fa uno dei suoi punti di forza. La spiegazione di questo andamento potrebbe essere perfettamente sintetizzata dal proverbio che recita: chi semina vento raccoglie tempesta. E Donald Trump più che vento ha seminato una bufera, che adesso rischia di trasformarsi in un ciclone difficile da arginare entro la data delle elezioni di novembre. Qualche esempio? Partiamo da quello più emblematico. Fin dalla sua candidatura alle Primarie repubblicane, Trump ha annunciato che se fosse diventato presidente avrebbe costruito un muro al confine con il Messico, evitando che nuovi immigrati (ispanici) si riversassero negli Stati Uniti rubando posti di lavoro agli americani. Ovvio che un messaggio del genere strizzasse l’occhio soprattutto all’elettorato bianco, che guarda caso è il segmento elettorale in cui Trump va più forte nei sondaggi.
Ma c’è di più: Trump nei suoi comizi ha attaccato pesantemente i cittadini provenienti dal Messico, sostenendo che fossero trafficanti di droga e criminali, arrivando addirittura a definirli “stupratori”. Accuse gravissime, smussate in minima parte dall’ammissione che, forse, tra i tanti messicani che entrano negli Usa ci sono anche delle brave persone. Cercare di invertire la tendenza che vede il candidato dei Repubblicani schiacciato dalla Clinton nei sondaggi tra i latinos è di vitale importanza per ipotizzare un successo alle Elezioni Usa. Basti pensare che nell’ultimo sondaggio effettuato tra gli ispanici da NBC News/Wall Street Journal/Telemundo, è venuto fuori che il 76% degli elettori è intenzionato a votare per Hillary e soltanto il 14% per Trump. Ora un distacco di oltre 60 punti percentuali sicuramente non può essere colmato nel giro di 3 mesi, ma si può cercare di ridurlo.
Del resto l’influenza dell’elettorato ispanico alle Elezioni Usa è sempre più importante. Come riporta Usa Today, nel 2004, quando George W. Bush venne rieletto alla Casa Bianca per la seconda volta, il corpo elettorale era composto dall’8% di ispanici e, secondo i sondaggi, il Repubblicano riuscì a conquistare il 44% di questi votanti, quasi la metà dunque. Nel 2008, l’anno della prima vittoria di Barack Obama, lo sfidante Repubbliano John McCain ottenne soltanto il 31% dei voti di quel 9% di elettori ispanici che si recarono alle urne. Ancora peggio andò a Mitt Romney nel 2012, che conquistò il 27% tra i latinos che in quell’elezione costituivano il 10% dei votanti. I numeri attuali, insomma, danno Trump molto al di sotto del peggiore risultato della storia repubblicana tra gli ispanici. Per questo motivo l’obiettivo minimo di Trump è riuscire quanto meno ad avvicinare quel 27% di Romney per cercare poi di giocarsi la partita facendo leva sul grande consenso riscosso tra i bianchi. Sembrerebbero discorsi razzisti, non in linea con il pensiero globale del 21esimo secolo, ma sono state le stesse proposte di Trump a portare il dibattito su questo livello. Quando Trump ha annunciato che in caso di successo avrebbe costruito un muro di circa 3000 km di lunghezza sul modello della Muraglia Cinese facendolo pagare interamente al Messico, sapeva che agli ispanici non avrebbe fatto piacere. Quando ha promesso che avrebbe deportato tutti gli immigrati senza regolare documentazione, Trump si è alienato il voto di milioni di latinos che vivono e votano da anni in America.
Il piano dei Repubblicani per provare a riconquistare una grossa fetta di questi elettori, comunque, è già iniziato. Il Comitato Nazionale Repubblicano (RNC) ha già cominciato a diffondere una serie di spot sia in inglese che in spagnolo, utilizzando l’ascendente di alcuni politici molto popolari tra gli ispanici (per esempio Helen Aguirre Ferré, responsabile della comunicazione con gli ispanici del Partito Repubblicano), sottolineando gli svantaggi che potrebbero derivare da un’elezione di Clinton e annunciando il loro sostegno a Trump. Dal canto suo, il diretto interessato, forse confortato da Paul Manafort, direttore della sua campagna elettorale che a Usa Today ha detto di aspettarsi un risultato molto migliore tra gli ispanici di quello ottenuto da Mitt Romney 4 anni fa, non sembra essere preoccupato dalla questione. Trump crede che agli ispanici ciò che interessi realmente siano le sue proposte in tema economico, e quando viene interrogato sulla popolazione latina sottolinea sempre il “fallimento” dell’amministrazione Obama, di cui faceva parte anche Clinton, nell’intercettare i bisogni di quella comunità.
Va riconosciuto che negli ultimi tempi qualcosa sembra muoversi in direzione di Trump: un gruppo molto corposo di repubblicani ispanici che a luglio aveva dichiarato che non avrebbe mai votato per il tycoon newyorchese, ha annunciato pochi giorni fa che a dispetto dei tanti difetti di The Donald voteranno per lui, perché sono certi che farà un buon lavoro per contrastare il terrorismo islamico, abbasserà le tasse e creerà posti di lavoro ben retribuiti. Più o meno ciò che va ripetendo da mesi Trump, il quale, in un comizio svoltosi recentemente a Raleigh in North Carolina, ha ribadito che “Obama è solo parole e zero azione” e ha sottolineato che gli Stati Uniti hanno bisogno di un presidente che crei posti di lavoro per gli ispanici che non hanno un’occupazione perché “noi vogliamo aiutare gli ispanici, i latini. Vogliamo aiutare tutti quanti”. Saranno i prossimi giorni a dire se Donald Trump dovrà preoccuparsi di aiutare per primo se stesso.
(Dario D’Angelo)