I bombardamenti di aerei russi provenienti dall’Iran sembrano destinati a essere un elemento “normale” nella strategia della Russia in Siria. Lo scalo nella base vicino a Hamadan, infatti, consente ai bombardieri a lungo raggio Tupolev un maggior carico di bombe, e quindi un maggior potere distruttivo rispetto alla situazione precedente, quando gli aerei partivano dalle basi nel sud della Russia. L’Iran si è affrettato a dire che non si tratta di una base permanente concessa alla Russia, ma della semplice autorizzazione allo scalo e al rifornimento di carburante e bombe.
Accanto alla maggiore efficacia dei bombardamenti e alla possibilità di una migliore coordinazione con gli attacchi provenienti dalla base russa in Siria, particolarmente notevoli sono i risvolti politici. Sia da parte russa che iraniana si è sottolineata la volontà di approfondire sempre di più la collaborazione tra i due Paesi e di condurre insieme una lotta decisiva contro tutti i gruppi terroristici, cioè non solo contro l’Isis. Viene formalizzata così quella che finora era un’alleanza sul campo tra Russia e Iran e il protetto regime di Assad, estesa fino agli Hezbollah libanesi: la cosiddetta “mezzaluna sciita”, che ha ora un preciso sponsor nella Russia. Peraltro, secondo l’agenzia di Stato cinese, Xinhua, ora il regime siriano può contare anche su un altro sponsor, la Cina, molto interessata a sviluppare le relazioni con la Siria, con iniziative umanitarie e anche di addestramento militare.
Questi sviluppi non possono non porre qualche grave problema agli Stati Uniti e Mosca sembra esserne cosciente, vista la cautela con cui si sta muovendo, se non militarmente, a livello diplomatico. Secondo quanto dichiarato da un portavoce del Pentagono, i russi hanno avvertito la coalizione a guida americana dei loro prossimi attacchi, a ridosso degli stessi ma con un anticipo sufficiente per evitare incidenti con gli aerei della coalizione. Inoltre, il ministro della Difesa russo, Serghiei Shoigu, ha affermato che sono in corso positive discussioni con gli Usa per un piano congiunto che porti finalmente la pace in Siria.
Le reazioni americane in proposito sono state molto caute, comprensibilmente, perché appare ormai chiaro come chi conduce il gioco sia Putin e come la politica di Obama nella regione si sia definitivamente dimostrata non più proseguibile. Pur nella persistente e accentuata differenziazione di interessi e nella complessità delle relazioni, a volte indecifrabile, si sta delineando un allineamento tra gli sciiti guidati dall’Iran, la Russia (e sullo sfondo la Cina) e un già alleato degli Usa come la Turchia, che potrebbe estendersi in qualche modo anche a Israele, sempre più isolato. Anche Erdogan deve uscire dall’isolamento in cui si trova attualmente e ciò giustifica la riappacificazione sia con la Russia che con Israele. Più difficile il raccordo con l’Iran, nemico acerrimo di Israele e diviso dalla Turchia dalla contrapposizione sciiti/sunniti.
Nel breve termine, quest’ultima potrebbe forse risolversi con un richiamo al passato, all’impero ottomano da un lato e a quello persiano dall’altro, con un divisione delle sfere di influenza, a partire dalla Siria, una volta eliminato lo stato islamico. D’altro canto, è pensabile che gli ayatollah, al di là dei proclami ufficiali, si siano ormai convinti dell’impossibilità di eliminare Israele, salvo un’apocalisse globale, e proprio un nuovo assetto della Siria potrebbe portare almeno a una tregua nel conflitto, insieme alla possibile soluzione della questione palestinese secondo linee finora inedite.
In questo scenario, peraltro solo ipotizzabile, gli Stati Uniti rischiano di trovarsi soli al fianco di “alleati” scomodi come Arabia Saudita e Stati del Golfo, con un’Europa più divisa che mai, su fronti contrapposti in Libia e ai ferri corti con la Turchia. In più, Barack Obama rimarrà in carica solo fino alla fine dell’anno e da novembre dovrà fare i conti con il presidente eletto che, se fosse Donald Trump, sosterebbe una politica estera ben diversa dalla sua e da quella della sua candidata, Hillary Clinton.
Interessante quanto riportato in un articolo di Politico Magazine a firma Mark Perry, che descrive l’operazione in via di preparazione da parte degli Stati Uniti con il governo iracheno per la riconquista di Mosul, da più di due anni in mano all’Isis, insieme a un attacco parallelo in Siria a Raqqa, la sua capitale. Il titolo dell’articolo è “State pronti per la sorpresa di Obama in ottobre in Iraq”, con riferimento alla data prevista per l’operazione, ma anche per sottolineare che un suo successo permetterebbe a Obama di terminare al meglio il suo mandato e costituirebbe un imprevisto assist alla Clinton per le elezioni di novembre.
Gli Stati Uniti stanno incrementando il numero dei loro consiglieri e addestratori presso l’esercito iracheno, con una presenza sempre più prossima alla linea di combattimento. Anche l’atteggiamento verso i curdi sta cambiando e, sia pure tardivamente, gli americani si sono resi conto che i peshmerga, i più decisi avversari dell’Isis, hanno finora combattuto con un armamento decisamente inferiore a quello degli islamisti. La fornitura di armi più adeguate ai curdi rischia però di provocare reazioni negative presso il governo centrale, preoccupato dall’autonomia del Kurdistan. Come correttamente nota Perry, il successo dell’operazione può essere decisamente compromesso se si riaprissero le ostilità tra le vari componenti presenti nelle forze di attacco a Mosul, curdi, arabi sunniti e arabi sciiti, uniti solo dall’odio contro l’Isis.
Anche per l’Iraq la sconfitta dello stato islamico potrebbe portare a un profondo riassetto, con la maggioranza sciita nella sfera di influenza iraniana, così come già è in parte, e gli arabi sunniti in quella turca, con sullo sfondo comunque la Russia. E i curdi? Visti gli ultimi sviluppi potrebbero essere sostenuti dagli Stati Uniti, ma ciò porrebbe Washington in ulteriore contrasto con Ankara e probabilmente Teheran, che pure ospita una consistente minoranza curda. Come accaduto spesso nella loro storia, i curdi rischiano ancora una volta di essere utilizzati e poi messi da parte, aprendo così un nuovo fronte nel Medio Oriente.