«Gli attacchi aerei contro l’Isis nella città di Sirte si giustificano con l’asimmetria presente sul terreno. Le truppe libiche che combattono l’Isis sono numerose, ma non sono disposte a morire per vincere, mentre gli uomini del Califfato sono numericamente limitati, ma combattono fino alla morte». A spiegarlo è Carlo Jean, generale e analista militare. Lunedì il governo libico presieduto da Fayez Al-Sarraj ha reso noto in conferenza stampa di avere richiesto l’intervento dell’Aeronautica statunitense. Il Pentagono ha confermato che i raid aerei sono cominciati dopo avere ricevuto l’autorizzazione di Barack Obama.



Come interpreta l’inizio dei raid Usa contro Sirte?

Le truppe di Misurata non ce la facevano a prendere Sirte e a eliminare quanto resta del gruppo dell’Isis in Libia, e quindi Al-Sarraj ha chiesto l’aiuto degli americani.

Saranno soltanto dei raid temporanei o è la prima fase di una nuova strategia?

In realtà anche in passato ci sono già stati dei raid americani. Uno di questi aveva ucciso il capo dell’Isis in Libia, utilizzando un aereo decollato non si sa se da Cipro o dalla Sicilia.



Può essere l’inizio di un intervento che poi chiamerà in causa anche l’Italia?

Per il momento non credo. I libici in particolare sono stati estremamente decisi in passato nel dire che la guerra era una loro questione interna e che non volevano ingerenze straniere. Non a caso dopo la pubblicazione delle prove della presenza delle forze speciali francesi, un cui elicottero era stato abbattuto dall’Isis lasciando tre soldati morti, le autorità libiche avevano protestato con Parigi.

Quindi lei esclude che l’Occidente possa inviare truppe di terra in Libia?

Le truppe di terra, anche piuttosto numerose, possono essere fornite dalla città di Misurata. Molto verosimilmente c’è una forte asimmetria, in quanto gli abitanti di Misurata non sono disposti a morire come i militanti dell’Isis. Questi ultimi combattono senza curarsi della vita fino allo stremo. Non a caso, anche in Siria e Iraq, sono stati fatti ben pochi prigionieri dell’Isis e la maggior parte ha combattuto fino alla fine.



Perché stavolta gli Usa sono intervenuti in favore di Al-Sarraj, anziché del generale Haftar come in passato?

Non è una completa novità. Era già avvenuto a Sabrata, un centro della Tripolitania completamente fuori alla zona controllata dal generale Haftar. Gli Usa sono intervenuti un po’ dappertutto, anche se quello che non si sa è che cosa sia avvenuto nel Fezzan. Fatto sta che gli Stati Uniti hanno un reparto di droni dispiegati nel Niger, nonché delle basi avanzate in Ciad. Molto verosimilmente quindi sono già intervenuti contro l’Isis sia in Niger sia in Ciad.

C’è il rischio che l’Isis si diffonda in Libia come è avvenuto in Iraq e Siria?

Non credo. L’Isis si è diffuso in Iraq e Siria soprattutto per il contrasto tra sunniti e sciiti, in cui il Califfato si è eretto a baluardo dei primi ai danni dei secondi. La situazione in Libia è differente, perché il territorio è controllato alle varie milizie e fazioni. Queste ultime hanno una loro rete logistica e di finanziamento, e ben difficilmente sono disponibili a cederla gratuitamente allo Stato Islamico.

 

La presenza dell’Isis in Libia rappresenta una minaccia anche per l’Italia?

Mi sento di escludere che l’Isis in Libia possa rappresentare una minaccia militare per l’Italia. Sicuramente ci saranno dei collegamenti, ma avvengono attraverso Internet o utilizzando reti protette tipo Telegram che sono difficilmente intercettabili. Generalmente l’Isis arruola militanti tra quanti sono già presenti in Italia, organizzandoli nelle varie cellule, perché la gente del posto si muove più facilmente e conosce la nostra lingua.

 

(Pietro Vernizzi)