Il fallito colpo di Stato in Turchia del 15 luglio scorso sembra, per lo meno per ora, aver prodotto un importante risultato a livello internazionale: un ulteriore passo di Ankara verso l’allontanamento da Washington e una mano tesa verso Mosca. Sul fronte Usa, va ricordato che la Turchia, nel 2015, si era apertamente schierata con la coalizione anti-Isis a guida americana in Siria. Da questa prospettiva l’irrigidimento turco può essere addebitabile sia agli eventi recenti, il rifiuto di estradare Gulen o il ruolo americano – per Ankara, ancora poco chiaro – nel tentativo di golpe, sia all’alleanza tra gli Stati Uniti e i curdi in Siria. Una scelta che di fatto ha rappresentato per Erdogan un vero e proprio tradimento.
Si tratta di un fattore che, tra l’altro, potrebbe essere valutato anche alla luce dello storico accordo tra la Turchia e Israele dello scorso 26 giugno, su cui potrebbero esservi state anche pressioni americane per una riconciliazione tra i suoi due alleati più importanti nella regione. Un motivo in più per l’ex fianco sud della Nato di essersi sentito abbandonato.
Ed è qui che entra in gioco il possibile avvicinamento a Mosca. I segnali di distensione ci sono. Prima le scuse formali di Erdogan a Putin per l’abbattimento del Sukhoi da parte dall’aviazione turca, poi qualche telefonata e quindi la promessa di vedersi a breve. La data sarebbe stata fissata per il 9 agosto.
È presto per sancire una storica rottura con gli Stati Uniti e, magari, anche con l’Unione europea e il conseguente salto nella sfera russa, ma tanto vale tentare di capire cosa potrebbe accedere qualora una tale ipotesi si verificasse. Intanto la rinnovata alleanza con Mosca potrebbe rispolverare importanti progetti fin qui rimasti congelati come la costruzione del Turkish Stream, che porterebbe il gas russo verso l’Europa centro-meridionale senza passare dall’Ucraina. Non a caso pochi giorni fa il numero due di Gazprom, Aleksandr Medvedev, ha confermato che vi è interesse a riprendere le trattative.
È solo un esempio della reciproca necessità che lega i due paesi. La Turchia è costretta a importare oltre il 90% del proprio fabbisogno annuale di gas e quasi il 60% proviene dalla Russia. Ma sul piatto vi sarebbero anche gli importanti flussi commerciali e turistici tra i due paesi.
Importanti mutamenti si avrebbero poi in ambito internazionale, con un occhio di riguardo al complesso risiko mediorientale. Qui una partnership turco-russa comporterebbe dei grandi stravolgimenti. La Turchia potrebbe entrare nell’asse Mosca-Teheran-Damasco-Hezbollah con un evidente ribilanciamento dell’asse sciita. Certo, questo comporterebbe il divorzio con Riad, un prezzo caro da pagare per Ankara, ma la Russia – e magari l’Iran – e gli ingenti affari che potrebbero nascere da questa rinnovata unione compenserebbero la perdita dell’alleato sunnita.
È evidente che un tale riposizionamento toccherebbe soprattutto alcuni teatri operativi piuttosto caldi in questo momento. A partire dalla Siria, in cui un avvicinamento a Mosca potrebbe comportare qualche scossone nei possibili futuri negoziati, magari facendo digerire a Erdogan il boccone amaro Assad e spingendolo a chiedere in cambio il “piatto forte” della zona cuscinetto a nord del Paese per il contenimento dei curdi.
C’è poi la Libia in cui, più o meno informalmente, la Russia sostiene il generale Haftar mentre la Turchia è apertamente schierata con le fazioni islamiste di Tripoli, ancora importanti nel Paese nonostante l’insediamento del Gna di Serraj. Qui un riallineamento con Mosca, seppure difficilmente, potrebbe avvicinare Erdogan a Tobruk, potrebbe però creare qualche scossone alla soluzione unitaria prospettata in sede Onu.
Infine, il possibile asse con Putin potrebbe fungere da cerniera per un riavvicinamento turco all’Egitto. Se, infatti, tra il regime di al Sisi e la Turchia di Erdogan non è mai corso buon sangue, a causa del sostegno alla Fratellanza musulmana di Morsi da parte del leader turco, un rinnovato asse con Mosca – molto vicina al generale – potrebbe spingere per un cauto riavvicinamento. Non a caso il 28 giugno il premier turco Binali Yildirim, durante un programma televisivo, ha dichiarato che la normalizzazione dei rapporti tra Turchia ed Egitto è possibile.
Fantapolitica o possibile realtà? Difficile rispondere a questa domanda. Molto dipenderà da quanto gli Usa decideranno di rischiare, visto che, tra le altre cose, in Turchia c’è il più importante arsenale Nato nello scacchiere mediorientale – e ben 24 basi – e molto dipenderà anche dal ruolo che l’Unione europea deciderà di giocare in questa partita, per ora a due. In un momento in cui la politica estera americana è pressoché spettatrice degli eventi internazionali, in attesa dell’elezione del suo nuovo presidente, potrebbe essere auspicabile un’Europa unita, capace di parlare con una sola voce e magari pronta a dialogare in maniera seria e costruttiva con la Russia. Sarebbe non solo un modo per evitare di perdere la cerniera turca, ma anche e soprattutto per provare seriamente a risolvere le sfide che giungono dalla nostra sponda sud.