Sulla tregua per Aleppo Staffan de Mistura non ha nessuna intenzione di mollare. L’inviato speciale dell’Onu in Siria, impegnato in una fase delicatissima della diplomazia internazionale, lo ha detto con chiarezza ieri dal palco del Meeting di Rimini. “Ho sospeso la riunione della task force umanitaria — ha spiegato — proprio per sottolineare con forza la necessità di una pausa almeno di 48 ore. Nemmeno un convoglio umanitario ha potuto raggiungere la parte assediata di Aleppo”. E per marcare la sua determinazione, ha confidato di essere solito, nei momenti più critici, ripetersi un vecchio adagio: “Hai provato? Riprova. Hai fallito? Riprova ancora, fallirai meglio. E riprova ancora, e ancora e ancora. Non mollare”.
Messaggio chiaro. A che serve una pausa specie se di breve durata? “Una pausa — De Mistura non ha dubbi — può salvare delle vite. Può dare un po’ di respiro alla popolazione e magari a rompere la spirale di violenza. Le città, sono come le nostre vite: nei momenti di difficoltà abbiamo bisogno di ritrovare la fede in noi stessi ma innanzitutto di sentire la fiducia degli altri, di non sentirci abbandonati”.
Le città. Quelle che rischiano di morire sotto le bombe e il terrorismo. Le città come Giuba (Sud Sudan), Dubrovnik (Croazia), Beirut (Libano) e appunto Aleppo, in Siria. De Mistura nel corso delle sue 19 missioni internazionali, ha vissuto in prima persona il dramma di queste città. Giuba, dove — nel 1986 — si riuscì a rompere l’assedio con un volo umanitario grazie all’aiuto di Madre Teresa di Calcutta. Dubrovnik (“dove per 42 giorni dovetti usare la birra per lavarmi, in mancanza di acqua”), ridotta a macerie fumanti dalle bombe, abbandonata da chi poté fuggire. “Ma Dubrovnik non morì — ricorda l’ambasciatore — perché chi tra i sopravvissuti sapeva suonare uno strumento diede vita a un incredibile concerto in piazza mentre gli assedianti erano ancora sulle colline attorno alla città. Come dire: potete bombardare noi, ma non i nostri valori, la nostra anima”.
“Le città non possono morire” era il titolo dell’incontro nel quale è intervenuto De Mistura. “Un titolo che è come un grido”, ha detto Andrea Simoncini, docente di diritto costituzionale, spiegando che si tratta della ripresa dell’intuizione di Giorgio La Pira che nel ’55 diede vita nella sua Firenze alle conferenze dei sindaci di tutto il mondo per la pace. Ma non si tratta solo della ripresa di un’intuizione. Accettando la proposta dell’attuale sindaco della città del giglio, il Meeting per l’amicizia tra i popoli si è detto disposto ad ospitare, a partire dall’anno prossimo, analoghi incontri mondiali di sindaci delle grandi città.
L’incontro di ieri è stato come un’anteprima, o un assaggio, di questa impresa. Vi hanno partecipato sindaci e rappresentanti di città emblematiche dei drammi del nostro tempo: il direttore del Museo del Bardo di Tunisi, Moncef Ben Moussa; la sindaco di Diyarbakir, nel Kurdistan turco, Goultan Kisanak; la sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini; il sindaco di Firenze Dario Nardella.
Hiroshima fu distrutta dalla bomba atomica. Per il direttore del Bardo, “la nuova bomba H è l’ignoranza della storia e della cultura di un popolo. La città è il luogo di culture diverse che si conoscono e convivono. E’ questo che il terrorismo e il razzismo vogliono colpire. La collaborazione sul rilancio della cultura e dell’arte con le città italiane, Firenze, Torino, Assisi, Sestri Levante ed ora Rimini è stata straordinaria. Il museo ha perso visitatori internazionali a causa dell’attentato, ma gli italiani sono ancora i più numerosi e i tunisini stanno imparando, attraverso la riscoperta dei nostri tesori artistici, a conoscere la loro cultura”.
Diyarbakir ha quasi due milioni di abitanti, appartenenti a 33 etnie diverse, il 70 per cento degli abitanti è di lingua curda. Sta a sud-est di Istanbul da cui dista 1400 chilometri; Aleppo in Siria e Mosul in Iraq sono a soli 400 km. Diyarbakir, che pure le armi e le violenze non hanno risparmiato, ospita nientemeno che 300mila profughi provenienti dalla Siria. Ha aiutato concretamente con tutti i mezzi possibili gli abitanti o i profughi di città massacrate come Sinjar, Sirnak, Kobane. Difende con le unghie e coi denti della sua prima cittadina il pluralismo, la tolleranza e la democrazia. Sono queste le sue armi contro il terrorismo, così come la cultura lo è per il direttore del museo di Tunisi. E come l’accoglienza umanitaria e il senso di responsabilità della combattiva e instancabile Giusi Nicolini di Lampedusa, fiera che la sua piccola isola sia stata l’ancora della salvezza per 300mila profughi. Finora.
(Maurizio Vitali)