Le parole di Matteo Salvini nei confronti del presidente Mattarella, dopo l’intervento di quest’ultimo al Meeting di Rimini, sono state sgradevoli ed eccessive, come spesso accade quando parla il leader leghista. Attenzione, però, a non cascare nella trappola boldriniana di puntare all’isolamento del numero uno del Carroccio o, peggio, di relegarlo a caricatura politica: esprime male disagi veri e fingere che non esistano è molto pericoloso. Trovo infatti altrettanto sgradevoli, in tema di immigrazione, i due ricorsi al Tar fatti dai residenti chic di Capalbio, saliti sulle barricate per evitare l’arrivo nel paradiso della sinistra al caviale di 50 migranti. Perché è accettabile questo doppiopesismo? Perché non si strilla al razzismo, mentre se a compiere il medesimo atto fossero cittadini di Cesano Boscone il pubblico ludibrio sarebbe dietro l’angolo? Non esiste il diritto a non voler convivere? Posso volere che la mia città non si trasformi nel parco antistante la stazione di Como o nella frontiera di Ventimiglia? Io lo ritengo un diritto sacrosanto.



Non esiste al mondo l’obbligo all’accoglienza, mi spiace per il presidente Mattarella. Nel nostro Paese stiamo ospitando a spese dei contribuenti persone che arrivano principalmente da Nigeria, Eritrea, Gambia, Maghreb: non sono profughi, sono clandestini. E tutti i Paesi europei con i clandestini sono drastici: o li bloccano o, se riescono a entrare, vengono espulsi. La progressista Spagna di Zapatero costruì un muro a Medilla e la guardia costiera iberica spara sui barconi: è cronaca. Voglio che si spari sugli immigrati in mezzo al mare? Assolutamente no, voglio che non partano. Certo, era più facile quando c’erano Saddam Hussein, Gheddafi e Mubarak, leader con cui si potevano fare accordi: ora con chi parliamo? In Libia ci sono due governi che non parlano tra loro, l’Egitto ce lo siamo quasi giocato per chiedere verità su Giulio Regeni, quando fin dall’inizio vi avevo detto che le domande andavano fatte a Londra, non al Cairo (ci è arrivato anche Matteo Renzi a capirlo, dopo l’incontro con Theresa May, cosa incredibile) e l’Iraq è nel caos. Fateci caso: le stesse anime belle che brindavano alla primavere arabe finanziate da Soros e Dipartimento di Stato Usa, ora sono i più convinti fautori dell’immigrazione di massa e dell’obbligo all’accoglienza. Gli stessi che pontificano però da Capalbio, dove i “negri” non li vogliono, però.



Il presidente Mattarella è un galantuomo e in cuor suo sa che se non si pongono dei limiti molto seri e stringenti a certi fenomeni, questi rischiano di sfuggire di mano, con conseguenze decisamente gravi. Vi faccio un esempio, capitato proprio venerdì, poco dopo l’inaugurazione del Meeting. All’aeroporto internazionale di Istanbul sono comparsi cartelli con questa scritta, testuale: «Non andate in Svezia, è il paese degli stupri, il paese col più alto tasso di stupri al mondo». Non è uno scherzo, è successo davvero. E se la motivazione che ha spinto le autorità turche a compiere questo gesto va ricercata nelle accuse lanciate dal ministro degli Esteri svedese, socialdemocratica e femminista, Margot Wallstroem, contro la Corte costituzionale turca per aver abolito la punibilità penale di atti sessuali con minori di 15 anni, esiste una triste realtà di fondo: ciò che hanno scritto i turchi, è vero. Guardate questo grafico, basato su dati ufficiali del ministero dell’Interno e della polizia svedese: tra il 1988 e il 2009, il numero di stupri in Svezia è aumentato del 600% e i dati parlano chiaro, l’aumento dei cittadini stranieri presenti nel Paese è stato il driver di questa dinamica.



Parliamo della patria del welfare moderno, dell’accoglienza totale, della socialdemocrazia illuminata di Olof Palme: ecco a cosa è ridotta, a livello sociale. La realtà va guardata in faccia, specie se è brutta, se si vuole cambiarla. Altrimenti, Matteo Salvini avrà sempre argomenti, per quanto sgradevolmente espressi, da contrapporre ai vaghi richiami all’accoglienza senza se e senza ma.

La scorsa settimana in Austria hanno presentato un sondaggio in vista della ripetizione del ballottaggio presidenziale che si terrà il 2 ottobre e Norbert Hofer, candidato della destra Fpo, a oggi sarebbe in vantaggio di sei punti. Erano soltanto tre la settimana prima: cosa è successo nel frattempo? Nove richiedenti asilo iracheni hanno violentato a turno una 28enne tedesca nel suo appartamento di Vienna, dove si trovava con un amico. Sapete quando? Lo notte di Capodanno, tanto che la giovane aveva sporto denuncia il 1 gennaio: ci sono voluti otto mesi di prove sulle telecamere a circuito chiuso, esami del DNA e altre evidenze per trovare i violentatori, i quali vanno dai 21 ai 47 anni. In questi otto mesi, hanno beneficato del welfare austriaco in attesa di vedersi magari riconosciuto il diritto di asilo. Tre punti percentuali in più per la destra. Non è populismo, è realismo: certa gente non deve starci in Europa, punto e basta.

Anche perché vorrei capire una cosa: se il tema è quella dei profughi, perché invece di accogliere i siriani che sono profughi davvero, abbiamo preferito lavarci la coscienza pagando 6 miliardi alla Turchia perché li ammassi nei centri-lager sul confine? Qual è la ratio di lasciare chi fugge davvero dalla guerra in condizioni di pericolo e accogliere chi, come gli eritrei, scappa dal servizio militare obbligatorio? In Germania è stato reso noto la scorsa settimana che 33mila immigrati a cui era stata respinta la domanda di asilo sono spariti, datisi alla macchia nel Paese dove ora vivono da clandestini. Non vi pare che l’atteggiamento da falco che Angela Merkel ha assunto negli ultimi giorni sul tema del burka sia un caso eclatante di coda di paglia?

È vero, Austria, Francia e Svizzera si stanno comportando da egoisti sigillando le frontiere e tramutando i punti di confine italiani in tappi senza sfogo, ma qual è il primo dovere di un governo? A casa mia, fare il bene per i propri cittadini. Il cosiddetto bene comune, di cui a Rimini si parla molto e spesso. Non mi pare che sulla vicenda immigrazione le forze politiche che sostengono il governo stiano applicando quel principio valoriale, anzi. Oltretutto, navigando a vista sullo scenario internazionale.

Abbiamo fatto i diavoli a quattro per la presenza di nostre forze speciali in Libia senza autorizzazione del Parlamento ma poi basta, solita sterile polemica per colpire il governo ma senza una finalità di reale approfondimento. Mentre qui parliamo di burkini e altre amenità, in Libia il quadro politico e strategico sta cambiando: in reazione ai raid Usa che tanto abbiamo applaudito, il generale Khalifa Haftar cerca di ritagliarsi di nuovo un ruolo da protagonista e non solo minaccia l’attacco ai terminal petroliferi, ma negozia in segreto con i russi ed è in rotta con i francesi.

Il governo di Fayez al-Sarraj gli ha infatti sottratto legittimazione con l’offensiva contro l’Isis e l’appoggio dei cacciabombardieri americani e ora l’uomo forte di Tobruk, dopo aver offerto appoggio alle potenze occidentali ed essersi sentito rispondere picche, cambia strategia. Il primo luglio è andato a Mosca per una visita non ufficiale: alcune foto pubblicate dal giornale libico Alwasat alcuni giorni fa lo hanno immortalato con il ministro della Difesa, Sergei Shigou, con il viceministro degli Esteri, Igor Morgulov e infine con il consigliere personale di Putin, Nikolai Patrushev. Rischiamo una Libia spaccata non solo in due, ma sotto due sfere di influenza geopolitica differenti a antitetiche: governo di Fayez al-Sarraj con americani e britannici e quello di Haftar con russi e turchi, vista la nuova liaison tra Ankara e Mosca. Di fatto, un’altra guerra proxy, un altro conflitto per anteposta persona tra Usa e Russia.

Da che parte sta l’Italia? Perché un domani che queste alleanze dovessero cristallizzarsi, i flussi di migranti potrebbero essere usati come arma di pressione sui Paesi alleati del nemico. Quali? Se Erdogan gioca duro, aprirà i confini con Grecia e Bulgaria. Ma se in Libia qualcuno vuole destabilizzare, i flussi saranno tutti nostri via Mediterraneo. E con le frontiere a Nord del nostro Paese sigillate. Quindi, prima di parlare di dovere dell’accoglienza, cerchiamo di guardare al quadro più ampio. Perché in questa fase storica ci sono presunti “doveri” che non possiamo più permetterci.