Ma davvero pensate che ai mercati interessi qualcosa del vertice di Ventotene? Pensate veramente che un singolo, grande investitore abbia dedicato un solo istante della sua giornata di ieri all’incontro a tre fra Merkel, Hollande e Renzi? Siamo seri e diciamo le cose come stanno: quei tre non contano nulla. Zero. Francois Hollande ha il 12% di supporto dei suoi concittadini, ha dovuto emanare – con stranissimo timing – lo stato di emergenza per bloccare le proteste di piazza sulla nuova legge sul lavoro, è a capo di un Paese potenzialmente fallito che spende annualmente il 65% del Pil in spesa pubblica: certo, hanno ancora influenza in politica estera ma stanno perdendo anche quella, dalla Libia all’Egitto. Di più, ha dovuto inventarsi una polemica patetica come quella sul burkini, utilizzando il suo fantoccio, ovvero il premier Manuel Valls, per garantirsi un po’ di fascino verso l’elettorato sempre più stanco di follie multiculturaliste e di un’economia stagnante. È un leader questo? 



Vogliamo parlare della Merkel? Non conta che Carlo De Benedetti l’abbia definita l’unico leader vero in Europa, è finita anche lei. E tra pochi giorni, quando si voteranno due turni di amministrative, tra cui Berlino, ci sarà anche la certificazione elettorale. Troppi errori, a partire dalla delinquenziale politica delle porte aperte verso i migranti, per poter pensare di poter dettare ancora legge. Il fronte terroristico sul Brexit da lei guidato viene sbugiardato quotidianamente dai dati macro che arrivano dalla Gran Bretagna e il vertice di Ventotene, se ben ricordate, era nato proprio come risposta al referendum britannico: di fatto, quei tre si saranno seduti a un tavolo a dibattere sul fatto che il Regno Unito sta meglio da quando ha detto addio all’Ue e alla sua burocrazia. Inoltre, la Cancelliera non sta patendo emorragie di consensi solo dalla destra di Alternative fur Deutschland ma anche dai cugini bavaresi della Csu, il cui leader, il governatore della Baviera, Horst Seehofer, sta attaccando la Merkel quotidianamente e minaccia anche una lista autonoma per le elezioni dell’anno prossimo, se il governo non cambierà politica sull’immigrazione. 



Ora, poi, è scoppiata un’altra grana. La Bundesbank, infatti, nel suo ultimo report mensile ha detto chiaro e tondo che entro il 2060 l’età pensionabile dovrà salire dagli attuali 65 anni a 69, con un innalzamento a 67 già nel 2030. E questo, «anche se la favorevole situazione finanziaria attuale dovesse proseguire. Una vita lavorativa più lunga non dovrà più essere un tabù». Detto fatto, il ministro dell’Economia e vice-cancelliere, Sigmar Gabriel, ha immediatamente condannato le dichiarazioni della Banca centrale: «Un lavoratore in fabbrica, un’infermeria, una commessa troverebbero questa idea folle. E anche io». Una posizione molto netta che ha una ragione politica: sono infatti 20 milioni i pensionati che hanno diritto al voto in Germania e trasformare la questione previdenziale in argomento di campagna elettorale per le politiche del settembre 2017 potrebbe essere letale. 



Inoltre, una nuova nube si addensa all’orizzonte della più grande casa automobilistica tedesca, già travolta dallo scandalo dieselgate negli Usa. A causa di un contenzioso con i fornitori, Volkswagen minaccia forme di flessibilità o la Kurzarbeit, la cassa integrazione “alla tedesca”, ma potrebbe essere costretta anche a una cura dimagrante nel top management. Il presidente del Consiglio di sorveglianza, Bernd Osterloh, ha spiegato alla Bild che «se qualcuno oserà toccare i livelli occupazionali, bisognerà anche rimpicciolire i vertici». Due aziende, Es Automobilguss e Car Trim, controllate del gruppo Prevent, si sono viste tagliare gli ordini e annullare senza compensazione i contratti e hanno bloccato nelle scorse settimane la fornitura di alcune componenti come i rivestimenti per i sedili e parti del cambio. Il colosso di Wolfsburg è stato costretto a far fronte all’improvviso blocco congelando la produzione, anche dell’ammiraglia delle utilitarie, la Golf, almeno fino alla fine di questa settimana. E indiscrezioni parlano di un rischio di ricadute per 30mila dipendenti. Come vedete, la Merkel non è affatto forte e autorevole come gli autorazzisti media italiani la dipingono. 

Di Matteo Renzi c’è bisogno di parlare? Ha passato mesi a unire le proprie sorti politiche a quelle del referendum costituzionale di novembre, dicendo chiaramente che se avesse vinto il “No” la sua esperienza politica e quella del governo da lui guidato sarebbero finite. L’altra sera, invece, ha dichiarato che comunque vada la consultazione sulle riforme, si voterà nel 2018, di fatto facendo capire che resterà lui a palazzo Chigi. Proprio sicuri? A Roma, nelle stanze del potere, circola chiara l’idea che in caso di vittoria del “No”, il presidente Mattarella non scioglierà le Camere ma deciderà tra due ipotesi: reincarico a Renzi o una soluzione tecnica e di transizione fino alla scadenza naturale del 2018, per poi andare alle urne. Ma attenzione, perché intanto a sinistra scende in campo Massimo D’ Alema, pronto a prendere la testa del fronte del No. Renzi attacca: «Se D’ Alema avesse messo per combattere Berlusconi lo stesso impegno che mette per cercare la rivincita nel Pd…». 

L’ex leader Ds ha convocato per il 5 settembre a Roma un’assemblea per lanciare la sinistra per il No, e chiama a raccolta la minoranza Pd. Mettendola in grande imbarazzo: andare significherebbe farsi arruolare nelle truppe dalemiane e riconoscere la leadership del Rottamato per eccellenza. E schiererebbe definitivamente la fronda Pd sulla linea della rottura totale con il premier. E D’Alema non fa certo mistero dei suoi intenti: «Bisogna far cadere Renzi a tutti i costi, la sua sconfitta è fondamentale per ricostruire un campo del centrosinistra», ripete. Per la minoranza Pd, già profondamente divisa al suo interno, si tratta di una scelta complicata. «Non possono farsi arruolare da D Alema: finiranno per dividersi i compiti. Lui coprirà il fronte dei cattivi per il No e loro faranno quello dei buoni, continuando a inventarsi condizioni da porre a Renzi per avere l’ alibi», dice un alto dirigente parlamentare renziano al Giornale

In queste condizioni, pensate che in caso di vittoria del “No”, Mattarella sceglierà il reincarico? Parliamoci chiaro, possono questi tre essere gli artefici della ripartenza dell’Ue? Ma questi vertici servono per gettare fumo negli occhi ai cittadini, servono per prendere tempo e non dover ammettere la verità: ovvero che proprio a causa dell’errore madornale della Merkel, ora i destini dell’Europa sono in mano a una persona sola, cioè Erdogan. Se infatti decidesse, in nome dei nuovi assetti geopolitici in atto, di disattendere l’accordo sui migranti dello scorso marzo e aprisse ai profughi ammassati ai confini siriani le tratte verso Grecia e Bulgaria, l’Ue morirebbe nell’arco di mese, schiacciata dall’emergenza e dalle rivolte dei cittadini. 

Grazie a quel genio politico della Merkel, ora il centro decisionale dell’Ue non è a Bruxelles, ma ad Ankara. E non basterebbero quaranta vertici di Ventotene per tamponare l’emergenza parallela di traversate del Mediterraneo e invasione della rotta balcanica: per questo si scomodano concetti roboanti e paralleli storici con Spinelli e soci, per non dover ammettere il livello di pietà politica della realtà. Io dubito che la Turchia giochi quell’azzardo, sia per una questione di soldi, sia perché quell’accordo è un’arma di ricatto straordinaria che è meglio tenere da parte e utilizzare in una battaglia davvero importante. 

Resta il fatto che l’Ue, i suoi vertici, sono silenti ormai da settimane e che a dover gestire inezie come la situazione in Siria, Libia, Turchia e Iraq c’è la signora Mogherini, una che per blaterare quattro banalità durante il tentato golpe turco del 15 luglio scorso ci ha messo 4 ore, quando ormai la situazione era tornata sotto il controllo delle forze leali a Erdogan. È questa l’Europa, sono questi i suoi rappresentanti. Speriamo, quindi, che quella andata in onda ieri a Ventotene sia stata la sua veglia funebre. E che i voti di Austria e Ungheria del 2 ottobre prossimo ne rappresentino la sepoltura. 

 

P.S.: «Per quanto non si possa dire pubblicamente, il fatto è che l’Europa  per nascere ha bisogno di una forte tensione russo-americana, e non della distensione, così come per consolidarsi essa avrà bisogno di una guerra contro l’Unione Sovietica da saper fare al momento buono». Chi lo ha scritto?  Il tanto decantato e glorificato Altiero Spinelli, il massone alla cui tomba ieri il Trio Lescano dell’Ue è andato a rendere commosso e grato omaggio. Non ci credete? Il passaggio si trova a pagina 175 del volume “Diario Europeo (1948-1969)”, edito nel 1989 da Il Mulino. Che idealista, che portatore di pace e unità.