“Qui i cristiani vivono la loro fede in modo realmente e letteralmente eroico. Vengono in chiesa nonostante i bombardamenti, ci tengono a stare sempre insieme e a incoraggiarsi a vicenda e hanno organizzato forme di volontariato per aiutare le situazioni più disperate”. A raccontarlo è padre Firas Lutfi, viceparroco della chiesa di San Francesco ad Aleppo e superiore del Collegio di Terra Santa. Oggi (mercoledì) padre Lutfi interverrà al Meeting di Rimini nel corso dell’incontro “Sperare contro ogni speranza: lavorare per la pace in Medio Oriente”, insieme al ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e all’inviato speciale della Commissione Ue per la promozione della libertà di religione, Jan Figel.
Padre Lutfi, come vivono in questo momento i cristiani di Aleppo?
I cristiani di Aleppo attualmente si trovano in una situazione molto difficile. In assenza di un accordo di pace o di una soluzione tutto si va sempre più aggravando, dall’assenza di acqua alle bombe che cadono sulla popolazione. L’attuale situazione richiede necessariamente una soluzione per zittire le armi e ridare un po’ di pace a questa gente disperata.
Qual è stata la sua esperienza da quando si trova ad Aleppo?
Da un anno sono viceparroco ad Aleppo e superiore del collegio di Terra Santa. Quello che mi stupisce di più è che davanti a ogni crisi c’è sempre un’opportunità. E’ vero che tutto sommato le cose non vanno bene, c’è il buio totale e tutto è inquinato a partire da aria, acqua e pane che mangiamo. Un aspetto che però è riemerso in questi tempi è il fatto che la nostra chiesa è veramente purificata dalle prove.
In che senso?
Qui i cristiani vivono la loro fede in modo realmente e letteralmente eroico. Vengono in chiesa nonostante i bombardamenti, ci tengono a stare sempre insieme e a incoraggiarsi. Musulmani e cristiani stanno anzi attuando forme di volontariato per venire incontro ai tanti bisogni creati dalla guerra. Distribuiscono i pacchi alimentari, soccorrono i bambini che sono profughi, aiutano le famiglie in difficoltà, visitano i tantissimi anziani rimasti soli dopo che i loro cari sono partiti. Mi colpisce il fatto che nonostante la morte, il buio e la sofferenza ci siano persone che riescono a trasformare questo momento in dono per gli altri.
Qual è la sua testimonianza di sacerdote ad Aleppo?
E’ quella di essere un bene per gli altri, innanzitutto in quanto presenza. Il fatto stesso di trovarmi ad Aleppo è un grande rischio e una grande testimonianza. Cerchiamo quindi di fare i buoni pastori che non abbandonano il gregge nel momento della crisi e della difficoltà. Come dice Gesù, un buon pastore custodisce e accudisce il gregge, lo nutre e protegge anziché fuggire.
Quando le è stato chiesto di andare ad Aleppo, le è venuta almeno per un attimo la tentazione di rifiutare?
Quando mi è stato chiesto di andare ad Aleppo avevo da poco concluso la mia licenza in teologia biblica, e quindi ero pronto per andare in missione. Appena ho saputo che la mia destinazione era Aleppo, la città più pericolosa al mondo, ho detto subito di sì. Prima di recarmi a Roma avevo vissuto per sette anni ad Aleppo, e inoltre essere sacerdote non è una scelta borghese come stare in un hotel. Se mia mamma fosse malata non le direi: “Arrangiati, eri mia madre solo quando stavi bene”. Appena mi è stato chiesto di recarmi ad Aleppo, ho pensato quindi subito a come venire incontro agli enormi bisogni dei miei parrocchiani e delle nostre comunità cristiane.
La Russia bombarda i quartieri in mano ai ribelli e gli Stati Uniti finanziano gli islamisti. Lei che cosa ne pensa di quanto sta avvenendo ad Aleppo?
Come ha detto giustamente Papa Francesco, se si vuole costruire la pace non bisogna vendere le armi. Tutti dicono di essere per la pace, ma intanto intraprendono la strada sbagliata. Le armi non sono uno strumento per la pace, bensì per la morte. In secondo luogo la violenza genera violenza, e l’unico modo per uscirne è proprio quello di accettare una soluzione fattibile di pace. Nessuno uscirà vittorioso se non intraprendendo un cammino di dialogo e di conversione.
Perché ritiene che la conversione sia necessaria per intraprendere una trattativa politica?
Perché occorre pensare non soltanto al profitto economico e all’interesse politico, bensì al bene della popolazione. Il primo ed essenziale problema è che tutti pensano soltanto ai propri interessi, mentre non prendono mai in considerazione la povera gente che conduce ogni giorno una vita sotto le bombe.
(Pietro Vernizzi)